Incontriamo Macs Villucci, front man del gruppo casertano Humanoalieno. Il loro debut-album, dal titolo omonimo e edito dalla CNI Music, ha fatto molto parlare per le tematiche letterarie e per il concept. L’alieno che arriva sulla terra e inorridisce, che mette tutti noi di fronte alla triste realtà che noi umani siamo, solo lui potrebbe rivoluzionare la nostra società grazie alla sua “sensibilità umana”.
Nelle vostre composizioni sembra prevalere la scelta di architetture musicali sempre molto studiate, molto ricche e complesse, mai banali: è una scelta piuttosto inedita nella tradizione rock italiana. In voi da dove nasce?
Nasce sicuramente dall’intreccio delle nostre cinque sensibilità molto diverse tra loro. Ci divertiamo ad intrecciare i piani sonori dei vari strumenti che suoniamo, perché pensiamo che la musica sia in primis divertimento. Siamo altresì convinti che se un pezzo funziona suona benissimo anche con sole chitarra e voce.
La vostra ispirazione musicale, la vostra formazione, viene più dall’Italia o dall’estero? Chi musicalmente ha contribuito di più, sul piano dei modelli a cui ispirarsi, alla nascita degli Humanoalieno?
Proviene da questo ibrido particolare di new wave anni ’80 e tradizione cantautorale italiana. Sarebbero tanti i nomi da fare. Te ne cito solo due, uno per categoria: Talking Heads e Piero Ciampi.
La scena musicale italiana, e specificamente campana, si sta arricchendo negli ultimissimi anni di band molto dotate e capaci, da Il Cielo di Bagdad agli Onirica, a L’Orso, dai vari Dente, Colapesce, Luci della Centrale elettrica, fino a Brunori Sos e altri. A chi vi sentite più vicini? Chi conoscete nel circuito? Vi identificate in qualche modo con i percorsi di questi altri musicisti oppure non guardate a queste realtà?
Ci sentiamo affini a tutte le produzioni che ci sembrano sincere, non costruite a tavolino per riempire i vuoti del mercato o per seguire la moda del momento. Ci sentiamo vicini a chi scrive testi significativi e non li relega a semplice riempimento. Insomma a quelli che hanno davvero qualcosa da dire.
Con chi vorreste collaborare potendo scegliere? Vale per l’Italia e fuori…
Sono tanti gli artisti che stimiamo. Ma se proprio dovessimo scegliere credo che siano due le “scelte obbligate”: Robert Wyatt e Brian Eno
Come giudichereste la scena musicale campana dal punto di vista del pubblico, delle presenze ai live, della disponibilità di spazi per suonare dal vivo, ecc…
Il discorso va esteso un po’ a tutta l’Italia. Spazi pensati per la musica ce ne sono ben pochi e questa è la conseguenza di una politica scellerata nei riguardi di questo tipo di arte che ha radici lontane nel tempo. Aggiungi a questo il fatto che la categoria dei musicisti è una delle realtà più disgregate che esista. Sai, ognuno di noi crede di essere Mozart e non ama mischiarsi al resto, magari per promuovere una legge sulla musica che in Italia, è anche superfluo dirlo, non c’è. Per completare il quadretto poco edificante aggiungerei anche la marea di locali che ci sono in giro per l’Italia che a tutto pensano tranne che alla qualità della musica che propongono nelle loro programmazioni (vedi il fenomeno dilagante delle tribute band). Una volta uno di questi “ mastri birrai” ci chiese quanta gente avevamo al nostro seguito. Noi candidamente gli rispondemmo: “E tu quanta gente conti di farci trovare? Sai… stiamo promuovendo il nuovo disco…”
Passiamo a esplorare l’album. Humano-alieno, maschio-donna (“eccezione alla regola”): le vostre canzoni vogliono liberare identità nascoste o ibride? Qual è la vostra poetica?
Il progetto Humanoalieno è nato nel lontano, ormai, 2005 e già nel nome contiene il fulcro di tutta la nostra espressione letteraria: la diversità declinata nei suoi vari aspetti, che può essere una scelta libera, voluta o imposta.
Come si svolge il vostro processo creativo? Da dove si parte per arrivare a un prodotto così ben confezionato come il vostro album?
Il processo creativo è complesso e doloroso, oserei dire. E’ come il travaglio che precede il parto. Cominciamo a raccogliere idee frammentate e poi le riordiniamo quando c’è più lucidità. Solo allora ti accorgi che, quasi inconsciamente, avevi l’esigenza di raccontare un tuo mondo interiore che altrimenti sarebbe rimasto nascosto. Per la riuscita di un buon prodotto è fondamentale, secondo me, circondarsi di professionisti seri e capaci. Il primo che mi viene in mente è il nostro produttore artistico Cristiano Santini.
Da dove nasce l’idea della storia di H148? Non avete avuto paura di esordire con un concept-album che la critica poteva giudicare troppo pretenzioso per un primo lavoro?
L’idea è venuta a me durante un funerale. Mi è balenata in testa questa domanda: cosa penserebbe un alieno se si trovasse qui in questo momento? E non contento di ciò ho rilanciato: e se a lui toccasse di prendere possesso di un corpo umano, magari di un migrante che sbarca su una qualsiasi delle nostre coste? Una faccenda iperbolica. Per quanto riguarda il discorso del concept ti rispondo di no, non ci ha mai spaventato questa scelta.
Noi crediamo fermamente in quello che facciamo perché se hai un’idea che reputi valida e lo strumento per renderla al meglio è appunto un concept, non devi farti condizionare dal pensiero corrente. Il nostro album ha ricevuto critiche entusiastiche e stroncature feroci, ma questa cosa ci diverte tantissimo. Siamo sereni e convinti che il nostro sia un buon lavoro.
Qual è la canzone che sentite più vostra? Quella che vi dà maggiori emozioni suonare?
Io, personalmente, posso dirti che quando canto Mono mi commuovo ancora.
Ultima domanda: se poteste scegliere di aver scritto voi certe canzoni della musica italiana, quali scegliereste? Pensiamo almeno a tre pezzi…
Questa è semplice. Noi ci divertiamo, in una sorta di esercizio di stile, a ri-arrangiare canzoni della tradizione cantautorale italiana.
La scelta dei brani è presto fatta. Quando ascolto un pezzo e mi dico: questa mi sarebbe piaciuto scriverla io, la scelta diventa automatica. Tre esempi? Rimmel di Francesco De Gregori, Se io fossi un angelo di Lucio Dalla, Pigro di Ivan Graziani, Enrico Ruggeri.
Autore: Francesco Postiglione
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