Matthew Murphy, il batterista Dan Haggis e il bassista Tord Øverland Knudsen sono tornati sulla scena, sempre per la fedele etichetta 14th Floor Records, per il loro quarto album dopo l’esordio con A Guide to Love, Loss & Desperation e i successi di This Modern Glitch e Glitterbug.
Benché il primo disco sia stato pubblicato nel 2007, cioè quasi dieci anni fa, in realtà i Wombats sono sulla scena inglese brit-pop dal 2003, e quindi sono già una band longeva, dallo stile definito e da cui probabilmente non c’è da aspettarsi grandi sorprese.
E infatti in questo disco confermano quanto hanno di buono, ovvero la pulizia del suono, la perfezione lirica delle composizioni, l’attenzione agli arrangiamenti, e un gusto indiscutibile per la melodia facile ma non commerciale. Non superano però i limiti che la band ha da sempre, ovvero l’incapacità di rigenerarsi, e andare magari oltre la facile e raffinata melodia per comporre qualcosa di più denso e intenso.
Beautiful People will Ruin Your Life è un po’ un compendio di queste caratteristiche, e perciò stesso è un compendio di un bel po’ di brit-pop più o meno rockettaro: Cheetah Tongue e White Eyes suonano come se i Blur o gli Oasis componessero una canzone pop, Lemon to a Knife Fight suona invece come una vera e propria canzone dei Blur maturi, Turn è un bellissimo singolo dove si percepisce invece una intensità e un epos più spiccato, Black Flamingo e I only Wear Black invece ricordano da vicino gli Strokes, a cui pure spesso i Wombats sono stati paragonati.
Con questo non si vuol dire che una band di 15 anni di carriera e al quarto album non faccia altro che scimmiottare: in realtà è proprio nel DNA dei Wombats di avere incarnato quanto di meglio ha offerto in vent’anni il brit pop nelle sue varie sfaccettature. Ma il punto è che nel DNA dei Wombats c’è anche forse l’incapacità di andare oltre il genere, o di meravigliare oltre i confini del genere.
Lethal Combination, Ice Cream e Out of My Head, I Don’t Know Why I like You but I Do sono canzoni più romantiche dove si sente un taglio un po’ più originale, una forma di fusione fra atmosfere 90s e 80s, ma nel complesso la cifra dei Wombats è quella di essere un ottimo catalogo-vetrina di un certo tipo di musica, ma non andare oltre quello. Le tracks sono sempre ottimamente arrangiate, e rifinite, e insomma il prodotto è confezionato benissimo, ma raramente trovi il dramma, l’intensità, il capolavoro, il talento originale e incontenibile. O anche lo sforzo di superare la forma-canzone fatta di strofe e ritornello alla ricerca di un riff particolare, o ancor più di assoli travolgenti o strumenti solisti, che non siano strettamente al servizio della voce di Matthew che peraltro è viva e brillante e calda come alle origini.
Niente più e niente meno dunque di un ottimo saggio di brit-pop con venature spiccatamente pop. Ma può bastare anche quello per 45 minuti di ascolto rilassante.
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autore: Francesco Postiglione