Un musicista di impianto assolutamente classico, compositore al piano di album minimal, e il leader di una band elettropop, cosa hanno in comune? La risposta non è così banale se parliamo dell’Islanda, autentica terra di talenti e laboratorio musicale assoluto dal 2000 ad oggi.
Solo in quella terra magica, che davvero dal 2000 sforna talenti in ogni genere musicale, dal folk (Of Monsters and Men, Olof Arlands) al post rock (Sigur Ros, Asgeir) all’elettropop (HK119, Bloodgroup, Samaris) il progetto Kiasmos del compositore vincitore del premio BAFTA Olafur Arnalds e di Janus Rasmussen, mente della band elettro-pop Bloodgroup, poteva nascere, o meglio esplodere. Perché l’omonimo disco di debutto Kiasmos, registrato nello studio di Reykjavik di Olafur, è davvero una bomba, in senso musicale. Benché sia house-music, non è affatto da ballo: è da ascoltare al buio nell’intimo di una stanza di notte, come i migliori lavori di Olafur. Ma in più c’è il beat, e la combinazione di piano archi e bassi rendono il tutto qualcosa di emozionante, di quelle emozioni sperimentali che negli ultimi tempi solo il post-rock sa dare. Basti pensare che il disco è stato composto con strumenti acustici come pianoforte, batteria ed quartetto d’archi, e sintetizzatori, drum machine e delay. Il risultato non è caos, ma Kiasmos appunto, due mondi che si incontrano alla perfezione. Se si ascolta attentamente è possibile individuare i diversi utilizzi delle dita sul piano e persino il suono del lento scorrere del metallo di un accendino che sostituisce l’ordinario suono del hi-hat elettronico, donando all’album un’atmosfera estremamente intima ed unica.
Un progetto così, con una alchimia così, non poteva che avere una storia antica: è dal 2009, come ammette Rasmussen, che cercavano di lavorarci, ma per via di altri progetti non c’era stato il tempo di concentrarsi.
Il result è davvero qualcosa di magico, alchemico, in cui nessuna delle due anime prevale mai nettamente (forse soltanto in Looped si scivola di più verso la parte elettronica): otto tracce strumentali che andrebbero bene per un ascolto notturno, ma anche a pennello per una colonna sonora. Ascoltate l’epica di Lit, oppure l’alternarsi di momenti dub e piano solo di Swayed, o il pathos cupo incalzante di Dragged, o l’enigmaticità di Thrown o Burnt. C’è solo da godere sempre, da rimanere sorpresi, affascinati, suggestionati, e spinti immaginariamente verso una terra magica e inquieta che davvero è ormai la capitale della musica europea del terzo millennio, senza discussione.
E i suoi talenti non sono ancora finiti, anche perché, se come in questo caso si mettono insieme, le combinazioni sono praticamente infinite. Basta mettersi comodi ad aspettare la prossima, che tanto di dischi belli per ingannare il tempo ce n’è.
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autore: Francesco Postiglione