Il secondo album dei Katap, Bullet, prodotto da NutLabel e uscito lo scorso novembre, non solo conferma quanto di buono è stato fatto dai ragazzi napoletani sin qui a partire dall’EP My Trip del 2005 e dall’esordio con Antiform del 2007, ma ribadisce anche che Napoli, anche grazie a loro, si candida come una delle capitali italiane dell’elettronica con le sue svariate contaminazioni.
Alla scuola dei Planet Funk, già napoletani, ora anche i Katap si aggregano volentieri, anche se questo Bullet, rispetto agli esordi di My Trip e Antiform, si presenta come un prodotto elettro-punk, segno che l’evoluzione della band è per ora in direzione delle sonorità tipicamente rock, come chitarre elettriche e batterie incalzanti.
Del resto è questo il cut-up a cui il gruppo si ispira anche nel nome: l’idea del leader Fabio Di Miero (nella foto), voce ed autore delle tracce sonore e dei testi, è di fare musica elettronica pervasa da suggestioni punk e rock’n’roll, offrendosi come assemblaggio di ritagli, ispirandosi a quel genere letterario codificato da Bourroughs nel saggio “La scrittura creativa” e a cui si sono ispirati in musica i Nirvana, (nella composizione dei testi) e band nostrane come Afterhours.
Anche se solo al secondo album intero, l’esperienza dei Katap di musica militante e soprattutto itinerante si sente, avendo partecipando tra l’altro, nel 2008, al Kaleidoscope Festival di Napoli accanto ad artisti del calibro di Apparat e Schneider TM, e avendo aperto nel 2009 il live di Caparezza.
Infatti il disco ha quasi sonorità live, atipiche per una band di musica elettronica: la track iniziale, Dream, in questo senso è programmatica, visto che si apre con una chitarra elettrica aperta e grintosa (una bella impronta iniziale da parte del chitarrista Massimo Cordovani già alla corte dei seminali Narcolexia) e un basso distorto che ricordano la Zoo Station del mitico Achtung Baby degli U2, e forse più che un ricordo è un omaggio che strizzza l’occhio ai Big Black, dato che all’epoca del ’91 fu proprio quell’album a sdoganare alle masse la commistione di rock e elettronica secondo i nuovi tempi.
Il sound rockettaro prosegue la sua parte da protagonista anche in The Rest of Fluid, (che davvero richiama da vicino la lezione dei Planet Funk), in Spotlife (cupa e punk, girata attorno a un basso ipnotico e a interventi di synth lavorati da Vinci Acunto) e Sublime (ancora basso elettronico e la batteria di Domingo Colasurdo a dettare la linea e la dinamica) mentre per sentire un sound puramente elettronico per riff e per base ritmica bisogna aspettare Berlin, pezzo di grande ritmo e dinamica, giocato intorno a pochi accordi semplici, ma davvero impossibile da ascoltare senza muoversi.
Anche I want Another Girl ha un esordio e uno sviluppo tipico da pezzo elettronico: si vede insomma che la commistione di generi, il cut-up manifesto della band, non è solo su carta ma è realizzato meticolosamente pezzo per pezzo nel corso dell’album.
Chiudono Skinless (un pezzo sulla voglia di liberarsi della propria pelle, dove la sensazione di trovarsi di fronte a una registrazione live in presa diretta è particolarmente forte) e l’onirica Feel Next to, oltre a un remix al solo piano del loro cavallo di battaglia Notorius Heart, tratto da Antiform.
I nove pezzi nel loro complesso danno un’impronta assoluta e definitiva ai Katap: una band capace di molto più della semplice elettronica da videogame, che timbra pezzi di grande respiro che si collocano diritti e forti nella migliore tradizione internazionale del genere.
L’album non è la svolta rock alla Depeche Mode di album come Violator, Ultra e Songs of Faith and Devotion, ma non è del resto una svolta totale quella che i Katap cercavano, bensì solo il dilatare la loro capacità compositiva anche in direzioni non esclusivamente synth e computer, e ci riescono perfettamente.
Un maggior numero di pezzi (solo 8 gli inediti) e un maggiore respiro dei singoli pezzi avrebbe aiutato ancora di più ma c’è tempo per questo.
Ora li aspetta la prova dei live, dove tante band elettroniche cadono, e dove i Katap hanno già mostrarto di saper stare in piedi: ora però è il momento di far esplodere i pezzi di Bullet sul palco, lì dove forse troveranno la loro massima aspirazione di essere proiettili.
Autore: Francesco Postiglione
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