“Mosè non raggiunge Canaan non perchè la sua vita fu troppo breve, ma perchè era la vita di un uomo” Kafka
“What could be the reason that the same person, later in life, is unable to compete with himself as a younger artist? Is anything missing at all, or is the answer simpler — that each person is given only one or two truly worthy ideas, like a couple of arrows in a quiver” F.F.Coppola
Regista e produttore non più giovanissimo, Coppola ricorda alla perfezione i dettami cormaniani e gira il suo capolavoro “Youth Without Youth” tutto tra Bulgaria e Romania, forse per tirare al risparmio, forse per ricordare agli altri e a se stesso che il cinema deve perdere i propri territori, deve andare al di là di ogni mappatura. Come fu d’altronde per la sua magnifica apocalisse, esemplare sfida al territorio persa a causa di una megalomania irreprimibile e fonte di un memorabile buco finanziario. Ad ogni modo l’ultima fatica rappresenta invece una estrema lotta contro il contenutismo cui la stragrande maggioranza dei film è destinata. Oltre il contenuto, oltre la narrazione, la nuova giovinezza coppoliana punta alla tematicità: il tempo, l’uomo e i suoi sogni ( come recitava il titolo di un suo film). Così non ci stupirà il fatto che la storia, la trama, la narrazione sorpassino lo spettatore senza nemmeno soggiogarlo volutamente, ma quasi per necessità.
Queste sono le esigenze di un cinema che va ad una velocità multipla, fatto anche, ma non soprattutto, perché ci si dimentichi che dietro la m.d.p. ci sono un regista, un fonico una segretaria di edizione. La finzione c’è per forza, ma in sala, a luci spente, un abisso, per quanto finto sia, sembrerà più abissale di uno vero. Tim Roth è un dotatissimo glottologo che punta alla stesura di un’opera conclusiva e magistrale per cui ha bisogno di compiere lunghe ed intense ricerche. Non può oltrepassare i propri limiti biologici nè può risalire alle forme misconosciute di linguaggi preistorici. Assurdamente un fulmine lo colpisce da vecchio per consegnargli questa facoltà e una nuova giovinezza.
Non a caso una chiave per capire il film è proprio il termine d’ordine più urticante: l’assurdo, un lemma che indica l’inconcepibile, un concetto inatto alla significazione, un punto sulla mappa che non risponde alle coordinate. L’ennesima sfida del cinema-cinema è quella di rappresentare la perdita di una collocazione senza dimenticare la dinamica dei sentimenti; ancora : giocare con la realtà, ammettere le sue regole per risistemarle su altri terreni lasciando che si scoprano esse stesse disattese, più che impegnarsi per trasgredirle.
Insomma Coppola ricorda, da maestro, che registrare l’immagine significa mostrarne in qualche modo il suo calco, il suo rovescio : è questo che si legge nelle sequenze oniriche girate con la camera a testa in giù, al contrario, come pure suggerisce la locandina con il suo titolo semipalindromico Youth Without Youth. Come tutti gli specchi restituenti una figura infedele, il cinema è una trasgressione automatica non a causa del suo statuto ma a causa dei suoi mezzi. Di qui si intuisce che le scene di Tim Roth colloquiante all’altro se stesso gabellano il paesaggio del film per un discorso secco sul doppio, ma la loro ambiguità è caricata sornionamente per prescindere dai confini letterari che, per tentazione e immancabilmente, si prova a costruirgli intorno (vedi la critica giornalistica autorizzata). La bussola da consultare per orientarsi è quella dello slittamento temporale di Peggy Sue Got Married (forse un ideale prequel), miracolosa intersezione tra presente e passato che ricorda quanto non possediamo nessuno dei due, neppure rivivendoli. Coppola ha suggerito di rivedere il film più di una volta per pareggiare i conti, almeno in parte, con la sua dirompenza ma questa dichiarazione dimostra che tenere il passo non è sempre possibile, per fortuna. Siamo tutti dei Tim Roth davanti a YwY.
Autore: Roberto Urbani