Come si fa a resistere a un gioiellino così? CD tre pollici, copertina cartonata-ruvida, art-work in stile “South Park buonista”, edizione limitata a 300 copie (la nostra è n. 8), un nome così surreale e pronto a prendersi gioco di qualunque vostra supposizione. E ancora non ne abbiamo svelato il contenuto sonoro: 5 “arcobaleni” psycho-pop minuscoli e imperdibili, sì e no un quarto d’ora (c’è una ghost track a complcare il conto) di gioia a piene orecchie. Un mini-mini il cui ascolto potete insinuare anche nei più piccoli break che la giornata vi concede, ricavandone il massimo dell’ottimismo.
Se ha ancora un senso suonare certa psichedelia soft – che affida alle tastiere più che alla chitarra il tracciato delle proprie traiettorie, di matrice inglese e “basica” (in contrapposizione a quella “acida” di matrice tex-californiana), smaccatamente retro –, questo va ritrovato in uno specifico impegno: suonarla bene, evitando contaminazioni che farebbero solo del male alla dignità di un genere che ha saputo reggere benissimo da solo nella propria dorata e piccola nicchia, dove il tempo sembra essersi fermato.
Bastano pochi istanti dell’iniziale ‘A Tea at the Station’ per piombare dritti in questa nicchia: è la chitarra qui – c’è anche lei, tranquilli – ad azionare questa incredibile macchina del tempo, e a completare il trasferimento nell’impetuoso climax a metà brano. Voci sfocate e “bolle sonore” fanno il resto. E siamo già a bocca spalancata.
‘Give Her Some Flowers’ dà l’idea del tranquillo intermezzo che, in ossequio a un copione già noto, precede quei pezzi da novanta che il talento di Fabio B. e soci lascia già intuire. E questi pezzi arrivano, puntuali: ‘Sybil Vane’ fa il verso ai Beach Boys più psichedelici, come se l’Elephant 6 avesse stabilito una propria colonia anche da noi senza che ce ne accorgessimo, chiudendo che più retro e nostalgica non potrebbe essere, laddove ‘Aging Again’, con quei metronomici rintocchi di piano e quella voce così sguaiata e così liverpooliana, è un affondo nella visionaria psichedelia lennoniana (e che dire dell’abbozzo di orchestrazione alla George Martin con la tromba che sfuma in chiusura?). ‘A Pretty Shore’ lascia in disparte il pop per abbracciare, con l’organo a farla da padrone, quella minimale estetica lounge-trance che gli Stereolab ogni tanto ricordano di avere.
Il talento dei LMALL sta però in un altro, non trascurabile fattore: camuffare, dietro questa apparente riduzione all’osso delle componenti sonore, dettagli e impreziosimenti sonori per i quali sarebbe facile cadere nella tentazione di farli risaltare, “affollando” un sound che invece trova proprio nell’apparente basilarità la sua ragion d’essere: percussioni – a volte solo un timido cicaleggìo –, una chitarra che “c’è-ma-non-si-sente”, la citata sfumature di tromba, addirittura un banjo (‘Sybil Vane’e nella relativa ghost track-reprise), roba che Dio solo sa come buttarcelo dentro senza combinare pasticci. Dettagli che quindi solo un ascolto attento può andare a scovare. E con un disco come questo, che si ascolta anche otto volte di fila senza che emergano segni di stanchezza, ne avete ben più di una semplice possibilità…
Autore: Bob Villani