Arriva per la prima volta assoluta nella città partenopea, il campione in carica nella composizione glitch, titolo ampiamente meritato con l’uscita del capolavoro “ Endless Summer” nell’anno 2001, una realizzazione dalle straordinarie componenti narrative, nato dalla passione del viennese per le ammalianti seduzioni pop dei Beach Boys processate e sintetizzate matematicamente dei powerbooks senza peraltro perdere in suggestioni fantastiche e giocose. La serata si presentava entusiasmante anche nella incoraggiante proposta della location individuata, a ragion veduta, in quel teatro cittadino del centro di Napoli, motore e volano negli ultimi anni, di solleticanti cartelloni off privilegio delle produzioni alternative al mercato delle grandi compagnie teatrali, ricovero per le culture sotterranee cittadine e non.
Con una buona affluenza di pubblico parte bene la performance live di Etre a sostenere la serata, armato di potenti e curiose macchine per i suoni disposte non convenzionalmente per terra ed azionate sapientemente alla ricerca del loop giusto creato anche artigianalmente ( fili elettrici fatti sfrigolare con acqua immersi in un bicchiere per esempio ); correndo ed a volte inciampando tra le macchine, rafforza la caratteristica principale delle sue manipolazioni che è quella della fisicità e della materialità, a volte anche insidiosa e prepotente al limite della violenza. Forse è per questo che, lasciandosi prendere un po’ la mano ed euforico di esibirsi di fronte ad un pubblico amico, nonostante non sia nuovo ad esperienze importanti di fronte ad un grande pubblico ( vedi l’ultima partecipazione al festival romano Dissonanze ) il nostro si lascia andare per troppo tempo, nel finale dell suo work in progress, a circuitazioni e riflussi ormai esauriti del contenuto narrativo. Alle h.23.30 a calcare le tremolanti assi del palco di Galleria Toledo si staglia finalmente, ed in notevole ritardo sull’orario in scaletta, la figura di Christian Fennesz, in tutta la sua prestante mole, quasi a voler fare da contraltare a quella piccola e minuta del suo predecessore; un bell’uomo insomma a giudicare dal brusio del pubblico femminile presente in sala, una bellezza quasi imbarazzante quanto quella di un altro illustre sperimentatore: David Sylvian. Alle 24,00 Christian Fennesz saluta tutti e passa all’incasso, senza concedere prolungamenti, senza aver toccato né gli animi nè i corpi degli accoliti convenuti, senza aver provocato le suggestioni e le visioni presentate in tanti album, ed in esecuzioni dal vivo ben diverse da questa.
Trenta minuti percorsi così superficialmente e con tale sufficienza non si concedono ad un pubblico arrivato in sala entusiasta di partecipare finalmente ad un evento di così alto richiamo, attento e composto, da suscitare talvolta la stessa ilarità dell’esecutore che in un occasione ne reclama l’applauso a conclusione di un lunghissimo brano introduttivo, preparazione alle tessiture sapientemente mandate in glitch dal viennese dal cuore tenero, degno erede di quella storica scuola di composizione classica, geniale ed innovativa, senza mai perdere il gusto e la raffinatezza della melodia Per una volta mi sento in dovere di spezzare una lancia un favore del pubblico che assiste ai concerti pop, così spesso indisciplinato e rumoroso quando si tratta di seguire le esecuzioni dal vivo dei moderni compositori, troppo spesso costretti a fatica per coprire il brusio provenienti dalla sala ed attirare l’attenzione.
Per Fennesz tutto questo non era successo; il contenitore era quello giusto per costruire una serata di grande successo e di sicuro appeal per tutto il movimento elettronico, che in questa città gode già di ottima reputazione costruita saggiamente e con passione dai non numerosi promoters che credono nelle realizzazione di questo genere.Un occasione mancata!
Autore: g.ancora