Ascoltando l’ultimo manufatto di Justin Destroyer, Pete Cafarella e Rafael Cohen, alias Supersystem, mi sono venute in mente non poche teorie. Anzitutto presenta una contraddizione, quasi un paradosso: appare più eclettico del precedente, con una maggior spinta orchestrale, una ricerca creativa ragionata, in alcuni casi ricordano i Baobab Orchestra, non è tirato ai limiti dell’ironia iper cruda, come il precedente ammiccava. Non presenta più quei toni pseudo isterici usciti fuori di getto: si prende il suo tempo, attraverso la valorizzazione dei singoli componenti del gruppo. Ognuno di essi esce allo scoperto e dichiara i propri gusti, dai Kraftwerk agli Xtc… ma ricuciti tutti assieme per comporre un magma, un pacchetto omogeneo.
”The lake” è una delle mie preferite, sul fondo del pezzo, oltre il tessuto elettronico di ripetizioni sonore, tra gli arrangiamenti appaiono intricati assemblaggi di chitarre alla Jeff Beck, isteriche e precise, tipiche di un sound rock inglese di fine anni sessanta, contornate da una fisarmonica sintetizzata, che ne esalta i riff di volta in volta. In “Eagles Fleeing Eyries”, invece conta il testo e la sua trasposizione nel cantato. Una battaglia tra uccelli e cacciatori che usa la metafora anche attraverso i suoni e ingaggia una voce più pacata, “leggera“. La prima traccia è un paradigma hip hop anni novanta trasformatasi in una canzone elettro dance. L’iniziale anarchia goliardica dei proponimenti del primo disco, “Always never again” si è trasformata in disincanto e concretezza stilistica, ha perduto qualcosa per strada…forse l’originalità, la freschezza, la spontanea ilarità che tendeva a caratterizzarli. Probabilmente è l’inizio di disaccordi interni fra personalità diverse e tanto creative, non saprei se profetizzare o meno vita breve per il quartetto, ma nel complesso l’album non è affatto male, genera euforia ed è ben impacchettato!
Autore: Lorenza Ercolino