di Celine Sciamma, con Zoé Héran, Jeanne Disson, Mathieu Demy
Avviso ai naviganti: se siete in uno stato d’animo non proprio tranquillo, magari poco in pace con voi stessi/e e solitamente la lentezza del cinema francese vi crea ansia, questo film è altamente sconsigliato.
Francia dei giorni nostri: un’allegra famigliola composta da babbo, mamma incinta e due figlie di dieci e sei anni, si trasferisce in una nuova città. Subito ci viene fatto sottilmente intuire, come spesso accade nei film d’oltralpe, che qualcosa negli equilibri familiari decisamente non va; la bambina di dieci anni ha i capelli cortissimi, veste con pantaloncini, maglietta e scarpe da ginnastica assolutamente non femminili ed è molto attaccata al padre (che ovviamente è una figura assente, poiché è spesso fuori per lavoro), col quale fa giochi sempre molto poco femminili, ça va sans dire, come guidare la macchina.
Il fulcro della vicenda è quando la bimba conosce una coetanea che abita nel suo condominio e ha la brillante idea di presentarsi come “Mikael” e non come Laura. E qui la storia si fa complicata, perché inizia la doppia vita di Laura, che si reinventa a tutti gli effetti come Mikael quando deve giocare coi ragazzini che abitano nel vicinato, forse per farsi accettare, forse perché si riconosce più in veste maschile che femminile. Tutto però precipita quando, per difendere la sorellina seienne, picchia un altro bambino, con le conseguenze che tutti, almeno una volta nella vita, abbiamo subito (andiamo… non avete mai picchiato qualcuno? E non vi siete mai sorbiti la conseguente cazziata della mamma? Pensate che voi, almeno, non vi spacciavate pure per qualcun altro… si spera).
La scena più bella del film è senz’altro quando Laura-Mikael si fabbrica un fallo finto con un pezzo di didò, e qui si capisce anche che la giovane attrice che la interpreta è sorprendentemente brava, considerata la difficoltà di questo ruolo e soprattutto i look punitivo. Ma feticci sessuali a parte, “Tomboy” rispecchia bene i turbamenti pre-adolescenziali attraverso cui tutti siamo passati, quando non ci si sente né carne né pesce e si farebbe di tutto per sentirsi qualcuno, per farci accettare dagli altri ancor prima di accettarci da soli.
Il film è stato premiatissimo dai festival e dalla critica, che erroneamente l’ha paragonato ad un inno alla libertà. Dico erroneamente, perché fingersi quel che non si è non è essere liberi, piuttosto è una schiavitù dalla quale si riesce ad uscire esclusivamente quando si scopre realmente la propria essenza.
Autore: Veronica S. Valli