Ho vissuto la musica più come un’arte che come intrattenimento scrive Greg Sage, leader indiscusso dei Wipers, in una pagina introduttiva che troviamo sul sito ufficiale della band.
Da ragazzino infatti aveva sviluppato una forte sensibilità verso l’arte di incidere su vinile, molto prima di imparare a suonare, grazie al padre che lavorando nel campo come fonico televisivo, gli aveva permesso di conoscere da vicino un vero e proprio incisore professionale. Scrutando a fondo con il microscopio tra le pareti di quei solchi, l’istinto alla creazione della musica pian piano prendeva forma in lui al punto decidere di mettere su un recording project. L’idea originaria quindi era proprio questa e non di dar vita ad una vera e propria band.
Nonostante molte guide del settore rifilino i Wipers tra le note del punk, la loro musica sfuma, e alle volte annega del tutto, in territori che vanno ben oltre i classici tre accordi. La chitarra asciutta ed urticante tradisce sì un approccio tipicamente punk tessendo trame tra le più variopinte. Il garage-punk, il post-punk, il power pop, la new wave, sono tutti ingredienti ricorrenti nella loro musica e si intrecciano vicendevolmente lasciando spesso l’ascoltatore senza fiato. Tra i solchi dei brani ritroviamo stralci di angoscia e disagio esistenziali tipicamente adolescenziali che alle volte versano in pura rabbia, altre in mera rassegnazione (No matter where ever / I go It seems always the same / Gotta find a new world / Before I start going insane). Gli slanci energici e rabbiosi sono frequenti almeno quanto le divagazioni acide e sinistre ma è il retrogusto della decadenza a lasciare maggiormente il segno (What to do when you’re always subjected / What you feel when you’re always neglected / Try to run but there’s now way / To find no sanctuary).
La band rimane segregata a lungo ai margini della scena musicale anche se i loro semi hanno prodotto frutti che ancora oggi vengono raccolti. Il grunge, l’indie, l’hardcore devono tutti un grande contributo ai Wipers che senza dubbio vanno considerati tra i padri del genere. Il loro nome comincia a circolare solo negli anni novanta grazie ai Nirvana che prendendo in prestito due loro brani (D-7 e Return Of The Rat) per trasformandoli in cavalli di battaglia ai loro concerti danno un forte impulso alla fama della band. Kurt Cobain non ha mai nascosto la profonda ammirazione che nutre nei loro confronti ed oggi tra gli appassionati del settore sono considerati oramai dei classici.
La loro avventura prende inizio nel 1977 a Portland una cittadina dell’Oregon che anche se abbastanza decentrata da i natali ad una piccola scena locale dalla notevole rilevanza, per un certo tipo di rock, ricordando tra i protagonisti: Sado-Nation, Neo Boys, Smegma.
Il programma presentato dal gruppo era di produrre 15 LP in 10 anni senza avventurarsi in alcun tour o percorso promozionale. Il nome (strofinaccio) che tradisce una certa corrispondenza con i trascorsi di Sage come lavavetri, probabilmente viene suggerito da questi.
La band è composta da Greg Sage alla voce e alla chitarra, Sam Henry alla batteria e Dave Koupal al basso. Greg ha una personalità ferrea e straripante ma soprattutto schietta ed avversa al compromesso. Persegue la sua strada incurante di tutto quanto gli accade intorno regalandoci così una porzione della sua anima tradotta in musica. L’avversità ad ogni tipo di compromesso induce immediatamente i nostri a cucirsi su misura un’etichetta (Trap Records) vuoi per dare più respiro alle stimolanti realtà locali vuoi per dare il via alla loro saga con un singolo oggi molto raro e ricercato dai collezionisti.
Better Off Dead fa la sua comparsa nel 1978. Si tratta di un pezzo di rara bellezza ed anche se ancora acerbo preannuncia, soprattutto nelle prime due tracce, una vena decadente tipica del loro sound mentre in Does It Hurt rivelano una spiccata propensione melodica dal vago sapore garage anch’essa che ritroveremo spesso nei loro brani.
La copertina del singolo si presenta pieghevole, con un’immagine della band mentre suona al suo interno, nei tre colori giallo, nero e rosso a differenza della stampa immediatamente successiva che è soltanto in nero e rosso. Il singolo, oggi molto ricercato dai collezionisti, in condizioni excellent (=eccellenti), volendo usare una terminologia tecnica, vale intorno ai € 150,00.
Il debutto sulla lunga distanza arriva di lì ad un anno. Inizialmente viene registrato su un quattro piste ma la nuova etichetta (Park Avenue) convince la band a rifare il tutto in uno studio professionale per conferire un impatto più deciso alla musica. Personalmente credo che Is This Real? sia uno dei prodotti più validi della favolosa stagione musicale in questione grazie ai quei brividi che è in grado di scatenare in un ascoltatore attento, una volta superato il primo approccio. L’album libera uno spettro di stili disarmante prendendo dal passato, rimescolandolo nel presente e vomitandolo nel futuro. E se non credete a me fidatevi quanto meno di John Peel che in un’intervista rilasciata alla BBC Radio 1 nel 1993 dichiara di considerarlo tra i suoi primi venti album preferiti di sempre.
Il disco parte alla grande con una Return Of The Rat imponente e massiccia grazie ad un basso vulcanico e una chitarra aggressiva e lirica nello stesso tempo. Tragedy e Uf Front invece mostrano l’essenza di un hardcore da antologia pur stipando ancora un calore tipicamente punk rock (Social Distortion). Con D-7 praticamente inventano i Nirvana con dieci anni di anticipo. Ma i nostri sanno anche regalarci momenti melodici di notevole intensità come nella commovente Mystery, o nella title track Is This Real? o ancora nella traccia che chiude l’album Wait A Minute, oltre che nobili esempi di punk pop alla Ramones con Tragedy e brividi da pelle d’oca con Window Shop For Love. Ed Alien Boy? Ascoltatela e poi mi direte!
Solo un piccolo appunto: qui i colori virano notevolmente verso il grigio se non proprio verso il nero, una prospettiva che di lì a poco sarà il loro marchio di fabbrica.
Is This Real? così come il 7” di debutto è una meta oggi molto ambita dai collezionisti. Presenta una inner sleeve (busta interna) con i testi, un’etichetta nera con scritte argento ed ha un valore che si aggira, sempre in condizioni excellent, intorno ai € 75,00. Stranamente la di poco successiva stampa in vinile trasparente viene sempre venduta a prezzi più alti della prima tiratura in vinile nero credo perché ritenuta erroneamente la prima.
Ancora un anno e vede la luce un altro piccolo gioiello nel formato breve, Alien Boy, con quattro brani registrati durante le session di Is This Real? tre dei quali scartati.
I colori forti delle precedenti copertine vengono ora letteralmente fagocitati dal nero preannunciando atmosfere più cupe ed inquietanti. E per conferma, a parte la prima traccia di cui già si è detto, ecco Voices In The Rain ed Image Of Man (Joy Division) catapultare l’ascoltatore in uno stato di tensione per tutta la loro durata regalando un attimo di tregua solamente con le note melodiche e sbarazzine (Cure) di Telepathic Love.
Un cambio repentino di line-up provoca attimi di sbandamento, Sam Henry e Dave Koupal lasciano il posto rispettivamente a Brad Naish e Brad Davidson senza con ciò compromettere la qualità della proposta successiva.
1981. Youth Of America. Un mini-LP con 6 brani che ci mostra una band matura e consapevole delle proprie capacità consegnandoli definitivamente alla storia. I tempi si allungano notevolmente con tracce più strutturate e dilatate in contrapposizione al trend dell’epoca tutto incentrato su brani brevi e veloci. Fa inoltre la sua comparsa il piano che conferisce al tutto una maggiore vena drammatica filtrata sia attraverso atmosfere grigie (Taking Too Long o Pushing The Extreme) che attraverso passaggi graffianti (Can This Be). Un crescendo di emozioni fin dalla prima nota con una intro strumentale che vorremmo non avesse mai fine ed un cuore spettrale travolgono completamente l’ascoltatore in When It’s Over per poi accompagnarlo verso una chiusura decisamente curtisiana. Youth Of America dal canto suo si presenta come una creatura androgina, satura di voci a volte rabbiose altre aliene ed un sound, tra magma di feedback, agghiacciante e futuristico.
Youth Of America ha anch’esso un’etichetta nera con scritte argento ma questa volta non è corredato da alcuna busta interna che non la classica bianca. Valore: € 100,00.
Sulle le note di questo mini si chiude la fase più stimolante della band. Non che la produzione successiva sia priva di ottimi spunti ma lo spessore delle prime proposte resta soltanto un bel ricordo.
I Wipers a venire si limitano principalmente a rimescolare ingredienti ormai già abbondantemente frullati e digeriti. Anche sotto il profilo strettamente collezionistico l’interesse degli appassionati si limita ai loro primi quattro dischi.
Over The Edge, ad esempio, del 1983, lesina in fantasia e corposità e anche di quel piglio nervoso che tanto ci aveva portati ad amarli. Undici brani più immediati ed in linea con quelle tendenze indie che a breve faranno la loro comparsa. Lo stesso dicasi dei successivi Land Of The Lost (1986), Follow Blind (1987), The Circe (1988) e Silver Sail (1993) che nulla aggiungono al quadro di insieme.
La carriera della band, ad un certo punto, pare possa subire un’impennata quando il loro fan più famoso, Cobain, induce la Tim Kerr Records a produrre un album tributo invitandoli anche a suonare in una trasmissione televisiva. Sage cerca in qualche modo di cogliere l’attimo pubblicando subito due nuovi album entrambi molto validi (The Herd (1996) e Power In One (1999)), ma la vicenda pur avendo sottratto la band al totale anonimato non è riuscita anche a sottrarli al ristretto ambito degli addetti ai lavori.
Nel 1990 Sage mette su la Zeno Records, un’etichetta con la quale riesce nel tempo ad entrare in possesso dei diritti dell’intero catalogo dei Wipers.
Nel 2001 pubblica un box con 3 CD intitolato Wipers Box Set che compila l’intera produzione ufficiale della band fino ad Over The Edge oltre che una zuppa di inediti, versioni live, demo e quant’altro. Senz’altro una ghiotta occasione per portarsi a casa un pezzo di storia in grado di regalarci delle forti emozioni.
I Wipers sono una band assolutamente da rivalutare e, direi anche, da ripassare a più riprese.
Rimarrete molto sorpresi ad un certo punto quando, ascoltando una delle vostre band preferite, vi sembrerà di cogliere delle note a voi familiari al punto da dire: ma questo l’ho già sentito da qualche altra parte!
Autore: Salvatore Lobosco
www.zenorecords.com/wipers/wipers.htm