Sono appena le 18.30 quando i Girls in Hawaii salgono sul palco “Kane NYC” del Festival Internacional di Benicàssim. Nonostante il caldo, sono un bel po’ le persone accorse a sentire la “new sensation” belga. In prima fila quelli che probabilmente sono i loro primi veri e propri fan: un manipolo di ragazzi (loro connazionali?) scatenatissimi, che cantano tutti i pezzi a memoria. L’attacco è affidato alla splendida “Short song for a short mind”. Da lì in poi è tutto un crescendo di emozioni, per quello che probabilmente sarà uno dei concerti più convincenti dell’intero festival.
Dal vivo la band sembra perdere anche quella leggera “patina” che ricopriva un disco – il loro esordio – tanto bello quanto forse eccessivamente “pulito” e levigato: viene fuori l’aspetto più viscerale dei loro brani, le chitarre sono libere di esplodere in distorsioni e il rumore di insinuarsi tra le splendide melodie, tanto impalpabili e sfuggenti tra i solchi del CD, quanto ostinatamente dirette al cuore degli spettatori nella dimensione live.
Niente pose da indie rockers sfigati, sul palco. Il cantante, Antoine, si muove come un frontman navigato, trascina la band e il pubblico, catalizza gli applausi e le attenzioni, si dimena e incita i compagni d’avventura.
Le splendide “The Fog” e “Organeum” raccolgono applausi a scena aperta. Ricordano sfacciatamente i Grandaddy, ma nessuno sembra curarsene più di tanto. Il finale – con “Flavour” – è un lunghissimo profluvio di chitarre in feedback, di voci distorte (attraverso una vecchia cornetta del telefono “preparata”!), di esplosioni liberatrici, di aggressioni soniche e contorsioni di corpi, sudore ed energie catartiche. Se passano dalle vostre parti non perdeteli. Faranno parlare di sé, c’è da scommetterci.
Autore: Daniele Lama