Recentemente, su queste pagine, si è parlato del riuscito disco solista di Beth Gibbons “Lives Outgrown”, artista celebre per essere tra i fondatori dei Portishead; con lei però, a dar vita al noto gruppo, c’era anche Geoffrey Paul Barrow che, con Billy Fuller e Will Young, ha dato vita ai Beak>, progetto che abbracciava un credo retrò, psichedelico e Kraut, spiccatamente sperimentale, che si poneva come moderna prosecuzione, in chiave a tratti anche post rock, di quanto tracciato dalla psichedelia e dalla musica tedesca degli anni settanta (caratteristica che non può sfuggire soprattutto a chi ha amato i Neu! e i Can).
L’omonimo “Beak>” del 2009 e il suo successore “>>” del 2012 (per lo scrivente superiore al suo predecessore) ne sono fulgida e giusta testimonianza, come attestato da brani quali “Backwell”, “I Know”, la sognante “Battery Point”, “The Gaol”, “Yatton” e in cui subentra anche una matrice più abrasiva e cupa come nella riuscita “Wulfstan II”, in “Deserters” o in “Kidney”.
L’indovinata formula, negli anni, si è, poi, sostanzialmente replicata, con un lieve e progressivo allontanamento dalla matrice marcatamente Kraut (che comunque permarrà forte; non a caso del 2022 è il loro esplicito “Kosmik Musik”), verso soluzioni più rock sperimentali e psichedeliche che culminano nell’ottimo “>>>” del 2018 (il loro disco migliore) in cui spiccano le belle “The Brazilian”, “Brean Down” e “Birthday Suit”, la indie “Harvester” (che nel riff iniziale non può non evocare “Randy Described Eternity” da quel capolavoro che è “Perfect from Now On” dei Built To Spill), “Allé Sauvage”, la quasi rock/progressive “King of the Castle”, “RSI” (che sarebbe piaciuta tantissimo ad Alan Vega e Martin Rev) e la ballata lisergica “When We Fall”; su questa positiva scia si collocherà anche il bell’EP “Life Goes On” del 2019, in cui oltre al brano eponimo si impone la particolare versione di “Allé Sauvage” a cura di Mario Batkovic.
Per dovere di cronaca (e considerando l’illustre “richiamo”) da segnalare anche la personale versione di “Welcome To The Machine” dei Pink Floyd (dalla raccolta “L.A. Playback” del 2018) che probabilmente non avrà esaltato i cultori di Waters, Gilmour, Wright e Mason.
Con “>>>>” (Temporary Residence Limited/Invada Records) i Beak> confermano le loro doti di scrittura per un lavoro discografico che compie un ulteriore passo verso l’emancipazione e che si mostra teso, “cupo” e intenso e degnamente aperto dalle sacrale “Strawberry Line” e la sua progressiva e incessante apertura.
Esatta è “The Seal” nel contrapporre un asfittico ritmo ad un abulico e paranoico canto.
La breve e ruvida “Windmill Hill” è ponte verso la mesta e ipnotica “Denim”, “contrita” anche nella coda finale.
Senza tempo è la bella e splenetica ballata “Hungry Are We” che stupisce nell’inaspettato passaggio strumentale.
Viaggio in vecchio stile lisergico è “Ah Yeh”.
Irrisolta e sospesa è “Bloody Miles” nei suoi primi 2 minuti e 42 di morte cerebrale prima di resuscitare in un purgatorio urbano e desolato.
Se “Secrets” (non presente su tutte le versioni) è in perfetto stile dark/wave, narrativa è la lenta e conclusiva “Cellophane” che congeda (con un sussulto finale) “>>>>”, disco che conferma la capacità dei Beak> nel saper “colpire” con “effetto”.
https://www.facebook.com/beakbristol