Poco meno di un anno dal tour americano che li ha portati a confrontarsi con il gotha della surf-music mondiale incontriamo i “nostri” Bradipos IV per fare il punto della situazione e capire il futuro della band.
Un nuovo tour e un disco di inediti all’orrizonte, così Francesco (chitarra) e Amerigo (basso) ci raccontano la loro lunga storia e promettono di farci sognare ancora… con i piedi su una tavola da surf.
Come ci si sente a essere più famosi negli USA che qua?
Frustrazione o orgoglio?
Ne l’una ne l’altro, semplicemente si tratta dell’esito del nostro percorso. Diversi anni fa abbiamo iniziato a mettere tutta la nostra voglia di musica nel Surf-rock, con passione e con dedizione e, come è possibile immaginare, in questa scelta non c’era certo l’idea che avremmo scalato le classifiche. Si è trattato solo ed unicamente di dare spazio e consistenza al nostro istinto musicale puro e semplice. Tutto quello che ne è scaturito e ne potrà scaturire è solo una conseguenza di una scelta autentica, nessun programma in particolare, nessuna ossessione da inseguire. Poi è chiaro che se piaci a qualcuno, è tutto di guadagnato.
Come ha potuto nascere un gruppo neo-surf rock strumentale, nei
dintorni di Caserta, in un territorio completamente estraneo a quelle
tendenze? Come vi siete trovati (fisicamente e musicalmente)?
Siamo amici sin da ragazzini e sin da ragazzini abbiamo amato la musica, la abbiamo condivisa, scambiata, vissuta…tutta la musica. In una città di provincia come Caserta, soprattutto pensando alla realtà casertana di un po’ d’anni fa, non è stato difficile trovarsi e riconoscersi, un fatto quasi naturale. Sei per strada, ti incontri, ti confronti e scopri che c’è chi ti somiglia, chi vede le cose come te, chi si nutre delle tue stesse passioni. Da lì in poi, si mettono in moto le idee, le possibilità e la necessità di dare seguito a ciò che sei, insieme a chi è come te. Ed è così che è andata e che va ancora oggi, finché le forze tengono.
Per quanto riguarda la scelta del surf rock, si è trattata di una destinazione altrettanto naturale dopo molteplici attraversamenti musicali, ricerche, sperimentazioni che ci hanno condotto alla scoperta di una delle radici essenziali dalla musica rock, il surf appunto, che ad un certo punto ci ha messo tutti d’accordo, sia sul piano strettamente musicale, sia su quello della filosofia che gli sta dietro: leggerezza ed ironia….forse l’ultima chance che rimane.
Attualmente vi sono molte band più che emergenti fra Salerno,
Caserta, Avellino (Onirica, Cielo di Bagdad, Humanoalieno e
altri ancora) e i palcoscenici live muoiono a Napoli mentre crescono
come funghi nelle altre città campane: la provincia ha finalmente
superato la metropoli? Che ne pensate?
In effetti, negli ultimi anni sono cambiate molte cose; una volta a Napoli la realtà della musica live era intensa e tentacolare; c’erano tanti locali che promuovevano musica dal vivo e che erano sempre pieni di ragazzi vogliosi di sentire chiunque. Oggi non è più così, le abitudini ed i gusti del pubblico sono cambiati; la gente riempie i discopub e preferisce serate improntate all’elettronica, con la presenza di DJ e quant’altro. E questo non riguarda solo Napoli; si tratta di una realtà che abbiamo riscontrato anche a Roma, Milano, Bologna e così via.
Le ragioni probabilmente sono tante, ma forse due in particolare sono prevalenti. Innanzitutto, la questione economica: attualmente oggi pagare una band che viene a portarti uno show live è molto più oneroso e rischioso che organizzare un appening con DJ ed elettronica; e poi, cosa non secondaria, la gente non ha più quell’interesse particolare per l’ascolto, preferisce godersela attraverso un modo di fruire il divertimento più veloce, immediato, disimpegnato, in linea con i tempi ed i modi di fruizione del tempo libero.
Ovviamente non stiamo esprimendo un giudizio di valore, siamo semplicemente consapevoli che almeno per ora è così.
Ovviamente in questa situazione i piccoli centri si animano e realizzano spazi nuovi ed interessanti di espressione, piccole oasi dove in luogo dell’assenza delle tante cose che fanno la metropoli ci si inventa dell’altro e a volte anche di più…..ma in fondo, è stato sempre così.
Parliamo del vostro tour in America. Raccontateci l’esperienza di
partecipare al leggendario programma Surf Up: come ci siete arrivati?
Come vi siete sentiti?
Tutto è accaduto per puro caso. Alla fine della nostra esibizione al Forbidden Island, uno tra i concerti che ci ha regalato le emozioni più belle del tour, ci si avvicina un signore di mezza età, sperticandosi in entusiastici e smisurati complimenti al nostro indirizzo.
Al momento ne restiamo ovviamente ben contenti, considerando il personaggio uno tra i tanti estimatori di quella giornata; ancora non avevamo capito chi fosse, il mitico Phil Dirt.
Inutile dire che quando un attimo dopo si è presentato, proponendoci di esibirci di lì a due ore in uno show case live nel suo programma alla KFJC radio a Los Altos Hills, non ci sembrava vero. Ovvio che non ce lo siamo fatto dire due volte. In pochi secondi, abbiamo buttato le camice sudate, caricato le chitarre, messo in moto il van ed eccoci in viaggio per KFJC radio.
E’ stata una esperienza emozionante ed irripetibile, un vero regalo ricevuto improvvisamente lungo la strada, un regalo unico e memorabile…lo conserveremo sempre come un ricordo irripetibile; solo trovare le testimonianze di altre band che si erano esibite in quegli stessi studi (da Iggy Pop ai Calexico) sarebbe bastato a folgorarci.
Il tour in America ha toccato tappe da Sacramento, a Reno, Alameda,
San Diego, da Los Angeles a Long Beach, Los Alamitos, Huntigton Beach,
El Segundo: band storiche in Italia non sono mai riuscite in questo
traguardo. Pensate mai a quello che vi è successo? Cosa vi ha dato
questo tour?
Per rispondere a questa domanda dovremmo scrivere un libro. Essenzialmente è stato il coronamento di un obiettivo sempre inseguito e soprattutto la realizzazione di una esperienza musicale ed umana davvero unica. Abbiamo incontrato davvero tanta gente: musicisti di altre band, tour promoter, artisti di vario tipo e genere, ma soprattutto persone che per una ragione o per l’altra hanno incrociato il nostro cammino. Ecco ed è proprio il fatto di essere in cammino la cosa più bella, in cammino con un scopo: raggiungere il prossimo locale per la prossima serata, e camminando ne vedi di cose e ne incontri di gente. Insomma ha rappresentato davvero un bel pezzo di vita.
Quando suonate dal vivo qui nel nostro territorio, con un pubblico
certo più scarno e impreparato, cosa pensate in confronto? Depressione
o voglia di combattere?
Quando suoniamo in giro non viviamo lo stress del pubblico, non ci aspettiamo niente di particolare; semplicemente portiamo la nostra musica dove ci è possibile e non chiediamo al pubblico di essere preparato, impreparato, sensibile o altro ancora. Il pubblico è pubblico, gli puoi piacere e non gli puoi piacere e questa è l’unica realtà. Ci sono grandi serate e serate mediocri, ma è da tempo che non ci poniamo più questo problema, semplicemente fa parte del gioco. Quando va bene ci godiamo il successo, quando va male ci facciamo un paio di birre, quattro risate e andiamo a dormire sereni. Non è una buona o una cattiva serata che ti cambia la vita.
Parliamo dell’esperienza soundtrack: la vostra musica si presta
molto a essere colonna sonora, e prima de “L’imbalsamatore” avevate già
all’attivo partecipazioni a compilation…Come si arriva a questo
risultato?
Tutte le volte in cui ci è successo, dalle collaborazioni con registi indipendenti fino al lavoro con Matteo Garrone per l’Imbalsamatore, è stato sempre perché ci hanno contattato. Il nostro materiale è comunque in giro, abbiamo pubblicato un po’ di cose e suonato tanto e allora magari una cosa tua capita tra le mani di qualcuno e gira gira alla fine sempre a quel qualcuno viene la voglia di coinvolgerti in un suo progetto. Poi, sarà come dici tu, certamente la nostra musica, sia perché è strumentale, sia per il tipo di atmosfere, può funzionare molto bene sulle immagini. Del resto il surf rock è sempre presente, pur se discretamente, dalla pubblicità, alla tv e così via.
Arriviamo a “L’imbalsamatore”: come vi siete trovati nel lavorare
con Garrone?
Molto bene, è una persona davvero simpatica ed interessante; soprattutto e uno con cui si può ragionare serenamente ed entrare in un rapporto aperto. Anche se in realtà, ormai è tanto che non lo sentiamo più; dall’uscita di Gomorra in poi abbiamo perso un po’ i contatti, certamente è stato molto impegnato e distratto da altro, ma noi sappiamo che ci vuole bene; anzi lo salutiamo: un abbraccio dai tuoi Bradipi Matté.
Dal vostro specifico punto di vista creativo qual è la differenza
tra un “normale” disco di musica strumentale e la produzione di pezzi
per colonna sonora?
In linea generale, la musica pensata per un film deve lavorare per il film, rinforzarlo, sostenerlo, valorizzarne gli intenti e le atmosfere. Allora sul piano creativo ti lasci guidare da questo versante, da delle idee molto precise rispetto all’obiettivo emozionale che vuoi raggiungere. Anche se, difatti, può anche capitare che si scelga un pezzo per una colonna sonora scritto indipendentemente dal film che funziona comunque alla grande nel contesto della pellicola.
Il problema credo sia essenzialmente che le due cose si sposino bene tra di loro, che siano in grado di evocare emozioni e di fornire l’uno all’altro il giusto servizio: quando una buona musica ed un buon film lavorano insieme è come se si valorizzassero a vicenda; vedi i film di Leone e le musiche di Morricone, L’importante è il connubio, a prescindere dai percorsi creativi che probabilmente sono di quanto più vario e variabile c’è nella costruzione di una musica.
Dopo aver realizzato il vostro american dream che altro avete da
chiedere alla vostra musica? Non pensate mai che questa incredibile
esperienza sia arrivata troppo presto per una band con soli due album
all’attivo?
Il tour negli stati uniti non è certo una metà finale; piuttosto è un gran bel risultato che ci sta consentendo di fare altre cose e di portare avanti il nostro discorso. Del resto, la dimensione principale della nostra storia l’abbiamo sempre identificata nell’esibizione live: i Bradipos sono un gruppo live che gira e suona da anni e che in questo da corpo alla sua principale prerogativa.
Proprio a partire da questo, al momento stiamo rispondendo ad una serie di notevoli sollecitazioni che ci vengono dagli USA per l’organizzazione di un altro TOUR da quelle parti che, se tutto va bene, dovrebbe realizzarsi l’anno prossimo. Tolto questo, stiamo lavorando ad un nuovo album di brani originali al quale teniamo moltissimo; in questo nuovo album vorremmo provare a mettere a punto tutta l’esperienza di questi ultimi tempi, per dire ancora qualcosa attraverso il nostro surf rock.
Autore: Francesco Postiglione
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