A quattro anni da “Ate ate ate”, dopo alcuni cambi di line up i Putiferio sono di nuovo in pista.
Tra i loro due dischi se ci sono delle differenze per quanto riguarda il sound, dall’altro c’è una continuità, a partire dal titolo stesso, con una ripetizione per tre volte di un sentimento: nel primo disco si trattava dell’odio, in questo di amore.
Se il disco d’esordio era molto più spigoloso in questo certe sonorità sono per certi versi ammorbidite seppure i riferimenti principali del quartetto padovano restano gruppi col sound corposo: Fantomas, Melvins e i gruppi della Neurot e della Skin Graft, quindi state tranquilli che il noise ed il volume altissimo sono garantiti.
Le schegge soniche sono presenti in tutti gli otto brani in scaletta, seppure con delle varianti intriganti grazie alle quali l’album non risulta una copia del precedente lavoro.
Già il brano di apertura “Void void void” parte con un noise che subito si spezzetta nei rivoli del math, ma dietro l’angolo sono pronti i cambi di registro stilistico che portano il quartetto verso momenti industrial e post-wave.
In “Now the knife” il canto è quasi salmodiante, quasi come dei CCCP sotto acido e nella quale i Putiferio rileggono a modo loro la new wave, ovviamente in maniera del tutto originale.
Inoltre troviamo l’irruenta senza compromessi in “Amazing disgrace”, mentre gli spezzettamenti math-noise sono sempre ancora presenti in “Can’t stop the dance” e nella martellante circolarità con le tante fughe in avanti di “My pitch black heart”.
Da menzionare la presenza di Giulio “Ragno” Favero (One Dimensional man, Il Teatro degli Orrori), che faceva parte della prima line up ma in questo caso ha preferito occuparsi della produzione e suonare il basso in alcuni brani.
Autore: Vittoio Lannutti