Con i Marble Valley, Steve West, ex Pavement, ci riprova con questo secondo album, “Wild Yams”, che segna defintivamente l’intenzione di riprendere l’attività musicale. Ed è decisamente un buon segno, perché Wild Yams, seppure non sarà mai ricordato come album storico di questo inizio millennio, è sicuramente un lavoro ottimamente confezionato. Campeggia su tutto la melodia, che West e la sua band (James Waudby alle chitarre, Carl Hogarth alle tastiere e sinto, Beige al basso, Remko Schouten ai sintetizzatori, Andy Dimmack alla batteria) inseguono senza timore di apparire commerciali, e con il risultato di non riuscirci mai, regalando così belle canzoni che magari non diventeranno hits assolute ma si fanno ascoltare volentieri. I sintetizzatori non prevalgono, cosicché è mantenuta la struttura rock, un rock decisamente indie, ma con richiami a Beatles, al country, al pop britannico.
Si possono così gustare piacevolmente la poetica I could Drink an Ocean, forse il pezzo migliore, o la dolce Fag & Ah light, o pezzi più duri e cupi come Sunshine Rayland, mentre non guasta l’elettronica in Computer Man, anche questa molto poppeggiante, che viene giù facile ma decisamente gradevole.
L’unico difetto di quest’album è che non esplode mai: prosegue lineare lungo la sua scelta melodica (e magari dopo 13 pezzi qualcuno la troverà anche troppo uguale a se stessa) e non regala molti passaggi di stile, ma almeno i Marble Valley non si lasciano prendere dalla frenesia di sperimentare a tutti i costi per imporsi in qualche modo nei circuiti di nicchia.
L’album resta un buon lavoro, ma la sensazione è che in futuro il gruppo potrà fare anche meglio.
Autore: Francesco Postiglione