L’attesa esibizione di Matt Elliott al George Best di Napoli, stasera, è stata per tutti noi che vi abbiamo assistito come un naufragio in mare aperto nella più buia delle notti, inermi, stretti fianco a fianco nell’attesa disperata dell’affondamento ma animati anche da una lucidità insopportabile. E mentre il locale, pienissimo, si arrendeva all’idea della fine inesorabile, le ballate marinare dell’artista di Bristol assumevano tuttavia anche un carattere consolatorio delle sventure umane, facendo cadere barriere tra artista e pubblico in un trasporto ed abbandono – quasi un affidarsi alla musica – malgrado l’esibizione live di Elliott sia anche tradizionalmente piuttosto difficile ed a tratti un po’ disturbante, ed è dunque comprensibile che ogni tanto la distrazione in qualcuno prendesse il sopravvento.
Seduto al centro del piccolo palco, con luci bassissime, pallido, vestito di nero, pronto però a sorrisi sinceri tra un brano e l’altro, Matt Elliott esprime il suo lamento verso la vita con una voce ancor più suggestiva che su disco, suonando una chitarra acustica senza plettro, creando effetti molto particolari tramite pedali, stratificando suoni su suoni attraverso il delay fino ad erigere vere e proprie orchestrazioni, lunghe e lente, cupe, struggenti, in cui la sua voce poi raddoppia, triplica, ed i suoni di un flauto mandato in delay creano un effetto agghiacciante tipo theremin: la voce di un fantasma.
‘Dust, Flesh and Bones‘ non lascia speranza alcuna – “alcune cose sono così scure che guai alla luce che gli brillasse addosso” – e ci ricorda le lucide parole di rabbia e frustrazione verso il Mondo intero che il cantautore ci lasciò quando lo intervistammo nel 2007 https://www.freakoutmagazine.it/28-04-2007/music-mag/interviste/34070/intervista-matt-elliott/ alla domanda: ma c’è una via per il cambiamento e la salvezza? Rispose: “forse ammazzare tutti i miliardari potrebbe servire a mandare un messaggio. Forse perseguire i veri criminali del mondo, quelli alimentati dall’avidità, quelli che traggono profitto dalla guerra e dai morti, quelli che senza sosta ci spingono incessantemente a fare i lavori più schifosi (…) mettendo tutti questi bastardi faccia al muro e costringendoli a forza a scegliere il cambiamento (…) forse così qualcuno di loro potrebbe comprendere il vero valore della vita umana”, salvo poi scusarsi a fine intervista perchè strava attraversando un periodo un po’ depresso.
‘Broken Bones‘, dallo splendido Failing Songs del 2007, porta una ventata di suoni balcanici, ‘The Kursk‘ è una ballata marinara con una ciurma dalle ore contate, le cover di ‘I Put a Spell on You‘ di Screamin’ Jay Hawkins, resa famosa da Nina Simone, del tradizionale greco ‘Misirlou‘, della ballata anarchica italiana ‘Il Galeone‘ e di ‘Bang Bang‘ di Sonny e Cher, sono interpretate nello stile di Matt Elliott, fino a diventare completamente sue. E c’è spazio anche per un paio di strumentali tratti da Failing Songs e poi per ‘Also Ran‘, tratta dal lontano disco The Mess we Made del 2003, periodo in cui Matt Elliott iniziava ad allontanarsi dalla scena elettronica in cui col nome di Third Eye Foundation era popolare, e cominciava ad esprimersi nel folk acustico.
Nella prima parte del concerto ci avevano stordito ‘The Howling Song‘, disperata e sofferente, carica degli echi e dei lamenti di tutti i fantasmi del centro antico di Napoli accorsi per l’occorrenza e, almeno ci è sembrata, ‘I Name this Ship Tragedy‘.
Grande successo, grande affetto del pubblico per Matt Elliott che di recente ha pubblicato un disco dall’amaro ed ironico titolo Only Myocardial Infarction Can Break your Heart.
L’esibizione dell’artista folk inglese era stata preceduta dall’apprezzato e perfettamente contestualizzato live set di Sweet Jane and Clare http://www.youtube.com/watch?v=ZTLxF_tfDOw che in buona parte purtroppo ci siamo perduti a causa del nostro ritardo, ma anche della notevole fila di gente all’ingresso del George Best.
autore: Fausto Turi
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MATT ELLIOTT – The pain that’s yet to come (music video) from Ici D’Ailleurs… on Vimeo.