Li abbiamo lasciati che bombardavano Berlino con il precedente “Three bomb over Belin” e li ritroviamo a descriverci questi drammatici anni violenti di liberismo selvaggio nel quale le classi meno abbienti hanno sempre meno diritto di cittadinanza.
Per questo disco gli ultimi assassini hanno una special guest: Brian Auger, che sulla detroiana (e come poteva essere altrimenti?) “Flesh and proud” partecipa con l’hammond. “Violent years” è strutturato tutto su un garage con movenze pop, mai aggressivo, ma deciso, sferzante e quadrato.
In molti episodi il r’n’r fuzz spadroneggia, con chitarre che vanno beatamente in profondità,vedi la bella “Don’t fuck my babysitter”, e che improvvisamente si scoprono diddleyana. Accattivante “Nasty seed” dal gusto agrodolce reso della strana fusione tra psichedelia e noise, allo stesso modo della bluesata “Robot lover”.
Il quartetto si rivela poi particolarmente vibrante in “Bye bye baby”, caratterizzata dai profondi richiami dell’hard rock degli anni ’70 e vira verso i fasti dei Queen Of the Stone Age nell’accelerata “Whatcha gonna do”. Insomma “Violent years” è proprio un bel sentire, molto friendly e scorrevole.
Autore: Vittorio Lannutti