Luchè sembra molto scocciato da questo gran parlare che si è fatto attorno a uno solo dei pezzi di Vita Bona, ultimo album del duo hip hop napoletano Co’ Sang (di cui l’altra metà è Nto). Il pezzo è Mumento d’onestà, in cui il duo si scaglia contro gli effetti collaterali di quello che ormai si è soliti definire gomorrismo, ovvero quel portato (distorto?) di uno dei libri più importanti di questi ultimi anni: Gomorra ovviamente.
Una lettura del pezzo molto di comodo sembra dire Luchè e soprattutto la volontà di racchiudere un percorso più lungo, come quello dell’album, in una sola canzone o, addirittura in poche righe. Vita Bona è senza dubbio altro (sebbene i Co’ Sang non potevano non sapere cosa questo pezzo avrebbe scatenato), un cambiamento – non radicale, ma sempre cambiamento – rispetto a “Chi more ppe me” l’album del 2005 che li aveva scagliati nel gotha dell’hip hop italiano e che aveva fatto sì che Marianella diventasse qualcosa in più che un quartiere napoletano, rendendolo un luogo importante nella mappa musicale italiana. Certo sull’onda di quello che in quegli anni stava succedendo a Scampìa e anche di Gomorra, ma soprattutto di testi e musiche che avevano spaccato una cortina che voleva l’hip hop da Roma in giù un surrogato da non tenere d’occhio (un movimento che si prenderà qualche soddisfazione, con Fuossera, Alea, Sangue Mostro e tanti altri).
I primi ascolti di Vita Bona sono stati strani, un album che ai primi giri nell’ipod faticava a entrarmi in testa, forse abituato alle sonorità che nel 2005 mi avevano accompagnate in giro per Napoli. Non fidandomi, comunque dei primi ascolti, l’album ha continuato a girare e piano piano i pezzi si sono fatti spazio in una play list in cui il rock faceva la parte del leone. Le sonorità sono cambiate, molto vicine a un paese, la Francia, che fa dell’hip hop e del rap un cardine della colonna vertebrale musicale del paese, a differenza del nostro. I testi invece raccontavano sempre quelli che sono i luoghi che i due Co’ Sang frequentano, una Napoli più piovosa che solare, vite difficili, rimpianti, speranze e l’amore per la prorpia terra comunque e sempre. Testi che a volte sono ambigui: “Nuje nun simm’ contro nisciun, simm’ a favor ‘e l’emozione!” (Mumento d’onesta) ma il testo, tutto, di “Riconoscenza“, una dichiarazione d’amore alla propria città, o l’amarezza di “Casa mia” che riconciliano con la durezza del resto dell’album. Continuano ad esserci pezzi migliori e pezzi (uno o due) che sembrano (non me ne vogliano) incanalarsi in quel mondo dell’hip hop che non ho mai capito, quello delle lotte intestine, del parlarsi addosso, ma sono solo attimi, istanti che poco hanno a che fare con la totalità.
Le scelte delle collaborazioni sottolineano il cambiamento di cui abbiamo parlato, con le radici sempre lì, a Napoli. Akhenaton (IAM) uno dei punti di riferimento dell’hip hop d’oltralpe, con origini napoletane, in “Rispettiva ammirazione“, ma anche Monsi du VI, giovane speranza musicale francese, che a Secondigliano ci ha vissuto un bel po’ di tempo, e che firma uno dei pezzi migliori. Poi gli amici di sempre Fuossera in “Nun saje nient’ ‘e me” e Marracash (Club Dogo) e El Koyote e una colonna della musica made in Naples come Raiz.
Anche se l’hip hop non è il mio mondo ho voluto ascoltare quest’album e parlarne, ho voluto immergermi in questo (e altri) album, in una continua ricerca di quella che è la musica in Campania, di quello che è il racconto di Napoli fatto da chi ne ha fatto il proprio mestiere, la propria scelta di vita. E non me ne pento!
Autore: Francesco Raiola