Totale estensione del proprio leader Will Sheff, unico rimasto della line-up originaria del 1997, gli Okkervil River proseguono con questo ottavo album il racconto disilluso della vita e dell’esigenza di guardare in faccia la realtà per quello che è, senza illusioni, unica via per programmare una rinascita, una ripartenza di qualche tipo. Le 9 canzoni di Away sono state scritte da Sheff in solitaria, durante un lungo ritiro in una casa nel bosco sui monti Appalachi, condividendole successivamente con un gruppo di nuovi musicisti messi insieme per l’occasione, e contando sul contributo in qualità di ospiti di Marissa Nadler e dell’ex Okkervil River Jonathan Meiburg, ora leader degli Shearwater.
Il disco si apre con un brano dal titolo emblematico, ‘Okkervil River R.I.P.‘ sorta di requiem per seppellire i fantasmi del passato, in cui Sheff mostra un profondo spaesamento esistenziale attraverso una elegante veste folk acustica à la Lambchop con una ariosa e trascinante parte centrale ed un testo verboso pieno di simbolismi stile Bob Dylan ed il clima non muta in ‘Call yourself Renee‘, con Marissa Nadler ai cori ed una riflessione sull’insensatezza di fondo dell’esistenza sulle note di un violino, un po’ come nella conclusiva ‘Frontman In Heaven‘, verbosa narrazione di quello che sembra un sogno ad occhi aperti, che ci comunica un forte senso di solitudine dietro una scrittura formalmente sagace e di gusto letterario.
In ‘The Industry‘ c’è uno sviluppo più pop, sintetico e brioso, ed emerge un altro tema che sta a cuore a Sheff: la mediocrità di tanti aspetti del music business, il cui declino è frutto prevalentemente di una visione sistematicamente ottusa e deludente.
In ‘Comes Indiana through the Smoke‘ Sheff rievoca la figura rassicurante del nonno, militare un tempo sulla nave da guerra Indiana e punto fermo un tempo venuto a mancare di recente, mentre ‘Judey on a Street‘, col suo andamento ipnotico, insistente e disordinato per archi, tromba e tamburi è tra i momenti più naif ed interessanti del disco, piuttosto indefinibile e psichedelica come pure ‘She would Look for Me’, in cui il flauto conduce un tema particolare, sorta di bolero su un pigro andamento folk rock.
Ed è proprio quando gli Okkervil River trovano suoni e temi inconsueti e disordinati che riescono a mettere quella marcia in più per differenziarsi dai numerosi gruppi indie folk americani acustico elettrici con line-up numerose dell’ultimo decennio, ispirate dal folk rock americano degli anni 70 e dal cantautorato storico come Mumford & Sons, Oakley Hall, Band of Horses, Skygreen Leopards, Shearwater, Wolf Parade, Fleet Foxes, Blitzen Trapper, Grizzly Bear e tanti altri. In più il gruppo può contare sulla scrittura di grande qualità di Will Sheff, malgrado inevitabilmente questo tipo di musica può rivelarsi alla lunga un po’ respingente per il pubblico europeo, che magari dal folk americano si aspetta una maggiore varietà espressiva, meno imbalsamata e malinconica.
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autore: Fausto Turi