A volte, a parlare di certi dischi piange un po’ il cuore. E non è, banalmente, perché l’album è brutto o peggio, perché la band non ci sa fare ma perché certe volte ci si rende brutalmente conto di essere di fronte a un potenziale capolavoro a cui però manca qualcosa, quel quid che fa realmente la differenza. Senza questo fondamentale quid, purtroppo, non si riesce ad oltrepassare quella sottile linea d’ombra che ti fa passare da band promettente a band di successo. E’ un po’ questo il caso di “After the end”, terzo disco del gruppo americano dei Merchandise, il primo con la nuova etichetta 4AD.
Proprio in occasione di questo cambio di scuderia, i Merchandise avevano fatto sapere di voler aprire un nuovo capitolo, con l’idea di formare praticamente una nuova band, decisamente più pop. Per quanto strano, il progetto poteva anche essere interessante ed è parzialmente riuscito, nel senso che la band non ha perso totalmente il suo mordente indie rock, cui ha aggiunto qualche venatura shoegaze e un po’ di synthpop, insomma assolutamente niente di troppo commerciale.
Il punto è che a “After the end” manca un tocco di originalità, quel qualcosa di più che riesca a far considerare i Merchandise più dell’ennesima indie band. Eppure, i presupposti ci sono tutti, dall’ottima voce del cantante alle sonorità ricercate. Peccato che, ora come ora, il tutto somigli a una versione più pop dei War on Drugs, il che non è esattamente una buona cosa.
Nella tracklist spiccano brani come l’accattivante “Enemy”, che fa pensare un po’ agli Smiths, l’attacco quasi psichedelico di “Green Lady” e la ballad dai toni ruvidi “Life outside the mirror”. La speranza per il futuro di questo gruppo è che attuino davvero un cambiamento serio e che tirino fuori qualcosa di davvero nuovo.
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autore: Veronica S. Valli