Era ormai da tempo che aspettavo impaziente l’uscita del nuovo album dei Yokoano: dal 2010, per l’esattezza , anno del loro esordio con un’omonima prima prova che, a mio avviso, ha rappresentato l’apice della musica italiana degli ultimi anni. Sicuramente album che merita il podio delle uscite 2010 insieme a “Brazil” dei Drink To Me e “Everywhere at once” degli Edible Woman.
Ricordo ancora il mio primo approccio con la band, di quando trovai, per caso, girovagando su Myspace, uno spezzone promozionale di “Vengo dal vuoto”: fu una folgorazione. Chiesi subito una copia dell’album al loro management e, da allora, ho consumato letteralmente quel promo, a furia di ascoltarlo. Ed è stato uno strazio aspettare ben 3 anni per avere di nuovo fra le mani un lavoro firmato Yokoano. Ma ora lo strazio dell’attesa è cessato per far posto allo strazio delle note che Dani & Co. hanno saputo mettere nero su (diavolo) bianco anche stavolta.
Parlo di “strazio” non in senso negativo, ché le opere dei Yokoano sono sempre qualcosa di struggente, che fanno male nella loro malinconia, aiutano a reagire con la loro rabbia, bruciano e graffiano dal di dentro… dal “Ventre”, come suggerisce il titolo dell’album, parte del corpo che sembra fare da main theme, di traccia in traccia: dal ventre si viene al mondo, dal ventre nascono i nostri demoni interiori, dal ventre si vive.
Devo ammetterlo: al primo ascolto “Ventre” mi ha lasciato per un attimo attonito. Mi sono chiesto dove fossero finiti i Yokoano dell’esordio, dai brani cangianti, quasi progressive, della mistione di stili e generi: punk, metal, progressive, jazz, tutti miscelati in un unico corpo. I Yokoano di “Ventre” non seguono la linea tracciata in passato ma si concentrano più sulla “forma canzone”, cosa che all’inizio, come già detto, mi aveva lasciato per un attimo basito: i cambiamenti lasciano sempre per un attimo interdetti, come quando ascoltai per la prima volta “Origin of symmetry” dei Muse o “Zero” dei Bluvertigo, album che proponevano una nuova veste sonora rispetto ai loro lavori precedenti e che sono riuscito ad apprezzare solo in seguito. Nel caso di “Ventre” mi sono bastati due ascolti per riuscire a entrare nel nuovo mood della band.
Dani lavora sempre più sulla voce, distorcendola e sperimentando, dall’interpretazione ai margini del teatrale fino a digressioni verso il cantato per armonici (Come accade nella title track. Lo ricordate Demetrio Stratos? Tanto per citare un personaggio che ha reso famosa questa tecnica centenaria); sulla chitarra troviamo i riff sbilenchi ma al contempo diretti come un fendente che sono ormai tratto distintivo del suo nuovo stile.
Zack usa molto meno slap rispetto al passato e il basso è molto più “controllato” (e questo, devo dire, rappresenta un punto a favore per “Ventre”, in quanto ho sempre trovato, nel lavoro precedente, tutta quella tecnica sul basso un po’ troppo ostentata a tutti i costi).
Dario è come al solito ineccepibile alla batteria cercando figurazioni particolari e non scontate, coadiuvato dagli intrecci con gli altri strumenti.
Cercare dei brani che si ergono sugli altri in quanto a bellezza è difficile, perché siamo ad altissimi livelli dal primo all’ultimo secondo: di sicuro quelli che mi hanno più pugnalato al ventre sono “Stupidi eroi” (la prima di cui mi sono innamorato), “Taglio”, “Tra i denti” e “Abitudini”, oltre alla stupenda chiusura quasi cantautorale di “Diavolo bianco”.
Un album da comprare, ascoltare e riascoltare, fino a consumarlo. Così come il precedente.
E se credete che i brani, per quanto totalmente orecchiabili, siano troppo complessi da suonare in trio dal vivo, bhè… dovreste assolutamente fiondarvi a un concerto dei Yokoano per ricredervi. Per sudare. Per gridare. Per scaricare tutta la rabbia. Dal ventre.
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autore: Giuseppe Galato