Da un po’ di mesi a questa parte sulle releases della !K7 campeggia il logo No copy protection, ideato per evidenziare il rifiuto espresso dall’etichetta tedesca nei confronti di qualsiasi sistema protettivo anti-duplicazione. L’iniziativa della !K7, particolarmente lodevole anche perché in controtendenza rispetto alle scelte di molte case discografiche, è diretta a valorizzare quel rapporto di fiducia reciproca che dovrebbe intercorrere tra l’imprenditore/produttore di musica e il suo ascoltatore/utente: il cliente premia l’etichetta decidendo di investire 17/20 euro in un cd originale, e la label riconosce all’acquirente il diritto di utilizzare quanto comprato in totale libertà, senza condizionamenti di sorta. Un ottimo modo per rafforzare questo legame fiduciario e per fidelizzare la potenziale clientela è poi quello di offrire il prodotto in una confezione unica, irriproducibile nella sua particolarità, con un artwork curato nei minimi dettagli come quello che ad esempio hanno pensato i tedeschi Funkstörung per il loro secondo disco: la custodia standard del cd è avvolta da un guscio di plastica trasparente ed il libretto è sostituito da 11 cartoline (sul retro delle quali si trovano le informazioni sui vari brani) riproducenti i lavori grafici di artisti selezionati dagli stessi Funkstörung tramite il proprio sito internet.
E passiamo allora al contenuto di “Disconnected”, dove si avverte un certo scarto, stilistico ovviamente ma anche qualitativo, tra gli episodi di funk ultra-digitalizzato e quelli inseribili in un ipotetico filone soul-glitch accanto alle soluzioni adottate dai Telefon Tel Aviv nell’ultimo “Map of what is effortless” (“Cement shoes” e “Captured in tones” dei Funkstörung fanno coppia perfetta, rispettivamente, con “Nothing is worth losing that” e “Bubble and spike” dei Telefon Tel Aviv).
Scendendo nel dettaglio, le robotiche “Chopping heads” e “Habitual citizens” e l’hip-hop spastico di “Fat camp feva” sono pezzi trascurabili (rimanendo su queste stesse frequenze segnalerei solo “Mr. Important”, con il suo electro-funk rappato da Rob Sonic), mentre sono i brani più morbidi, strutturati su cadenze trip-hop e animati da calore soul, ad offrire le cose veramente interessanti. Ben quattro canzoni sono affidate al talento vocale di Enik, giovane singer tedesco che ha recentemente esordito con un proprio ep dopo essere stato fortemente voluto per “Disconnected” dai due Funkstörung Michael Fakesh e Chris De Luca: stupenda in particolare la title-track, con la voce di Enik – sofferente eppure carezzevole – distillata da un fitto reticolo di glitches, note di contrabbasso e di chitarra acustica.
In conclusione, una produzione eccellente, ritmi variegati, spunti melodici quasi sempre intriganti (un po’ scontati quelli di “Sleeping beauty”, con la pur brava Lou Rhodes dei Lamb alla voce) per un disco non fondamentale ma sicuramente piacevole: chi apprezza l’elettronica quando contaminata con strumenti suonati e racchiusa entro le confortevoli pareti di vere e proprie canzoni, non abbia esitazione alcuna a spendere qui i fatidici 17/20 euro.
Autore: Guido Gambacorta