Pier Paolo Pasolini da Bologna, da Casarsa, da Roma, dalla Ciociaria, dal mondo. L’ossuto poeta civile irriducibile, veniva ammazzato esattamente trent’anni fa: all’Idroscalo di Ostia, nella notte tra Ognissanti e i Morti, a 53 anni.
Anno millenovecentosettantacinque: metà anni Settanta, punta di compasso per un’oncia di tempo gravido di misteri chiari come la luce dell’alba, ma puntualmente monchi, secchi di prove. (Anche) le carte dei tribunali hanno giudicato in appello l’allora minorenne Pino Pelosi detto la Rana colpevole dell’omicidio, infischiandosene dei “dubbi” insinuati sul concorso di ignoti rilevato in primo grado. Mai magistrati, giornalisti, gole profonde gratteranno via la cortina di catrame e menzogna perché, ha ribadito Dacia Maraini, “l’Italia è un paese di grandi emozioni ma poco interessato alla verità”. Finchè non si conosce o capisce la verità non si diventa adulti. Così l’Italia, così pure noi.
Pier Paolo Pasolini rappresenta uno dei misteri del Belpaese consumato negli anni di piombo; la sua morte fu ragionata e voluta e sapete perché? Volete addirittura sapere perché? Perché PPP era gay dichiarato (negli anni 50!), pederasta (“il mio amore non per gli omosessuali ma per i ragazzi eterosessuali”). PPP era cristiano-friendly e anticlericale, anticonformista controrivoluzionario e antiabortista (poliziotti, figli di poveri di periferie urbane o contadine). PPP anche marxista antiPci, cane sciolto (“…vago per la Tuscolana come un pazzo/ per l’Appia come un cane senza padrone…” ), borghese inarrivabilmente entusiasta del Terzo mondo (Roma Terzo Tiburtina, Calcutta, Africa, Yemen, Palestina), spocchioso cineasta formalista quando il cinema stava remando con enormi sorrisi dalla parte della “sostanza”. Insomma PPP faceva fallire un po’ di piani. Mazzate a levante e a ponente. Opposizione spinta religiosamente al limite. Strummolo impazzito, il suo monumentale rischio, che ci schizza dalle mani e provoca inciampi tra i sepolcri imbiancati della burocrazia e della classe politica. Spudoratezza di chi sa troppo e dunque guardando “vede”.
Eclissarlo, allora. Non solo perché spaccava il cuore con il suo agire/pensare: immediatamente istinto, furiosamente rivalsa cosmica. Portatore insano di una specie di verità reale non cangiante da soggetto a soggetto ma saturata da una carica oggettiva, quella degli eroi perdenti. Pasolini perciò da spazzare via come una mosca di lolliane dimensioni. Perché quei motti corsari in epigrafe larga e quel giambico pirata assurgevano, Kant in poppa, a morale di una legge universale. Conflitto: il poeta è una filigrana piazzata davanti all’homo economicus con il sudore della fronte aggrinzita, con le braccia e le gambe magre come un calciatore vecchio, con “il corpo nella lotta”, con la voce appena stridula e l’eloquenza rapidissima da emiliano creativo. Insopportabile specchiarvisi. “L’intelligenza non avrà mai peso, mai, nel giudizio di questa pubblica opinione. Neanche sul sangue dei lager tu otterrai, da questo popolo, un giudizio netto, interamente indignato […]”.
Eliminarlo, cancellarlo, impedirgli ulteriore comunic-azione, hanno così deciso, 30 anni fa. Ma chi? Non-lo-so.
Autore: Sandro Chetta