Tempo fa, girovagando tra le band australiane presenti sulla piattaforma Bandcamp, mi sono imbattuto nella pagina dei Last Quokka dove si presentano con un slogan che ha subito piacevolmente attirato la mia attenzione:“sometimes anti-social, always anti-fascist”. Una dichiarazione d’intenti che viene fedelmente perseguita in ogni loro produzione discografica che ad oggi conta tre album, due mini-lp e svariati singoli.
“Red Dirt” arriva dopo che la band ha raggiunto un nuovo assetto con l’aggiunta di un secondo chitarrista, Justin Zanetic che ora rende ancora più corposo il suono insieme a Kirill Ivoutin, mentre la solidità ritmica è affidata allo storico bassista Ray Grenfell cui si è aggiunta la nuova batterista di origini guatemalteche Carlota Rivera. A fare da collante al tutto ci pensa il frontman Trent Rojahn che riversa sull’ascoltatore le sue liriche che descrivendo l’Australia come un luogo “contemporaneamente pieno di bellezza e meraviglia ma anche avvelenato dalla corruzione, dal razzismo e dall’avidità“.
Il suono dei Last Quokka è quello di un post-punk rock più corposo rispetto alle prove precedenti, non solo messo meglio a fuoco, ma che rende perfettamente l’idea di come la band che viene da Perth la “città più isolata del pianeta”, voglia rappresentare la coscienza critica di un paese meraviglioso ma anche pieno di contraddizioni. Infatti, come in tutti i dischi precedenti, i Last Quokka non mancano di decantare le bellezze naturalistiche australiane, come fanno nel brano d’apertura “An Introduction” dove riescono ad introdurci tanto alle bellezze della foresta di Karri quanto alle sabbie immacolate del National Park di Cape Le Grand.
Nei testi e nella musica dei Last Quokka si vive appieno questa dicotomia dove la rabbia di chi vuole evidenziare i mali della società contemporanea, viene controbilanciata dall’amore per la propria terra ricca di posti incontaminati e da preservare. In quest’ottica si può leggere un brano come “Broome” che parla dei panorami mozzafiato del Kimberley, una delle nove regioni australiane, situata nel nord ovest del continente, trasformata nel corso dei secoli dal colonialismo che i Last Quokka ne denunciano gli abusi quando cantano versi come “Un paradiso salato su una terra rubata”. Mossi da una profonda conoscenza della propria storia sin dalle origini, Trent Rojahn e compagni sono perfettamente calati nella contemporaneità in brani come “Disconnected” dove si parla dei mali dei social media che azzerano il pensiero critico delle persone che preferiscono vivere in una bolla dove non si materializza mai un pensiero contrario alle proprie idee.
La gioventù benestante di Perth e presa di mira nella trascinante “Eat The Rich”, così come i miliardari Gina Rinehart e Rupert Murdoch vengono ricoperti di invettive in “Gina/Rupert”. Tutto il resto di Red Dirt continua su questi binari senza cadute di tono e mostrando una band valida sotto tutti gli aspetti. Feroce, incazzata, politicamente scorretta, ma anche piena d’amore per la natura. Un disco pienamente riuscito.
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autore: Eliseno Sposato