Con il bassista e chitarrista Andrea Marcori approfondiamo la conoscenza del trio carrarese Kobayashi, protagonista alla Biennale di Venezia 2009 di una performance live a fianco dell’artista Antonello Pelliccia.
Già al lavoro su nuovi pezzi e in attesa – perché no? – di nuovi incontri stimolanti, la band sta promuovendo l’ultimo disco “In absentia”, contenente proprio il materiale realizzato in occasione dell’evento veneziano.
Domanda che già vi avranno fatto in molti: da dove deriva il nome
Kobayashi?
Il nome Kobayashi nasce in modo un po’ casuale, non è sempre facile trovare un nome per una band, poco prima di dar vita al progetto, avevamo visto il film “I soliti sospetti” e da lì abbiamo deciso, consapevoli che comunque sia è un comune cognome giapponese.
Riassumeteci i momenti fondamentali della vostra storia, dalla nascita fino all’omonimo disco d’esordio, passando per l’ep “Infantili e crudeli”.
Il punto di partenza per noi è stato l’Ep, nell’estate del 2005 abbiamo conosciuto Tommi Colliva, allora fonico alle Officine Meccaniche a Milano, avevamo un po’ di pezzi che volevamo registrare e così ci siamo ritrovati in studio assieme a lui. E’ stata un’esperienza fondamentale, Tommi si era offerto anche di curare la produzione artistica e per noi è stata una ulteriore motivazione e spinta alla ricerca di una nostra strada personale.
All’uscita dell’Ep è seguito un lungo tour di presentazione, che tra l’altro
ci ha portato ad esibirci anche al Duel per la finale di Destinazione Neapolis.
Tra una data e l’altra avevamo comunque trovato il modo di scrivere nuovi pezzi,
ma purtroppo non avevamo la possibilità di lavorare nuovamente con Tommi per le
registrazioni, così abbiamo allestito un piccolo studio perché avevamo bisogno di prenderci tutto il nostro tempo per registrare, provare e sperimentare, e dare luce così all’omonimo album d’esordio.
Tappa successiva “In absentia”: come è avvenuto l’incontro con Antonello Pelliccia e come si è sviluppato, fase per fase, il lavoro di integrazione tra la vostra musica e la sua arte?
Antonello Pelliccia è un artista di Carrara, ci aveva visto suonare lo scorso anno e ha deciso di coinvolgerci in questa sua avventura alla Biennale di Venezia, noi abbiamo accettato senza alcuna esitazione anche perché dopo alcuni mesi di promozione del disco avevamo bisogno di creare nuove cose e quindi ci siamo trovati nella nostra saletta, abbiamo montato tutti gli strumenti a nostra disposizione e abbiamo iniziato, senza regole, a lavorare sulle sonorità e sulle atmosfere da condividere con l’opera di Antonello, che di volta in volta seguiva l’evoluzione della nostra musica dandoci i riferimenti dell’opera per far sì che il tutto si integrasse nel miglior modo possibile, anche perché l’installazione l’avremmo vista per la prima volta solo a
Venezia…. abbiamo comunque creato un’unica opera sonora che poi nel disco
siamo andati a suddividere in quattro parti per facilitarne l’ascolto.
Quali sensazioni hanno accompagnato la vostra esibizione alla Biennale di Venezia? E quali i riscontri immediati di critica e pubblico?
La prima esibizione è stata una sorta di traguardo, abbiamo affrontato diversi problemi logistici perché continuavano a cambiare la location, eravamo
arrivati quasi al punto di lasciar perdere e non suonare …poi alla fine siamo riusciti a sistemare tutto e quando ho sentito partire il theremin di Flavio è stata una liberazione, finalmente si suona! Il riscontro è stato ottimo sin dalle prime note, anche perché alla fine si era creato un quadro molto suggestivo con l’installazione al centro del giardino e noi con le nostre luci psichedeliche a fianco a creare la giusta atmosfera.
Anche la copertina di “In absentia” mi sembra sia guidata da precise scelte artistiche… a me ha ricordato le linee grafiche di certi vecchi manifesti di propaganda sovietica…
Per quello lascio rispondere Nicola, che cura la parte grafica.
Nicola: Sì, formalmente può essere letta anche in chiave futurista, ma con una spiccata propensione verso l’Oriente, che il nostro nome si porta dietro, determinata sia da scelte consapevoli che da casuali e fortuiti fattori esterni. Fondamentale infatti è stata la scoperta di un grafico giapponese attivo negli anni ‘60.
E la collaborazione con la scrittrice Laura Pugno – voce sulfurea nel finale di “Vendramin” – com’è nata, da un’amicizia di vecchia data o dalla vostra recente passione per la sua letteratura?
E’ nata in modo inaspettato, sapevamo che il disco sarebbe andato in distribuzione per Transeuropa per la collana Inaudita in abbinamento al libro di Laura “Gilgames” (una plaquette di poesie), e quindi le abbiamo chiesto di mandarci un reading delle poesie da inserire in “Vendramin”, proprio per stringere un legame anche con il libro. Chissà che poi non si riesca ad ospitare la voce di Laura anche dal vivo….
La dimensione di band aperta a forme di contaminazione tra diverse forme d’arte è quella che più si addice alla vostra realtà musicale o “In absentia” va considerato solo un progetto occasionale?
“In absentia” bene o male è il nostro secondo disco anche se è nato in modo inaspettato per noi, sicuramente è un’esperienza che segnerà molto il nostro cammino per i lavori che seguiranno. Per quanto riguarda le contaminazioni noi
siamo sempre aperti a situazioni che ci possano stimolare e che vanno al di là
del fare musica in modo tradizionale, secondo me le due cose non si escludono e
sicuramente il prossimo disco sarà influenzato da questa esperienza.
Idee e obiettivi per l’immediato futuro?
Ci siamo già messi al lavoro per il prossimo disco in attesa di riprendere il
tour di presentazione di “In absentia”.
Autore: Guido Gambacorta
www.myspace.com/kobayashicrepa