Detto tra noi questo doppio “Tomorrow, in a Year” dei The Knife non è in assoluto un album pionieristico, tanto meno un esempio rappresentativo della musica sperimentale e d’avanguardia. Comunque il gesto è esemplare e quindi merita un momento di approfondimento. L’opera è stata commissionata dal gruppo teatrale danese Hotel Pro Forma, si tratta di musicare “L’origine delle Specie” di Charles Darwin e vede la partecipazione di Mt. Sims con il compositore di musica da camera Planningrock e sarà portata presto sui palchi in giro per l’Europa. Innanzitutto sarebbe interessante scoprire la scheda tecnica. Ci sono di mezzo essenzialmente synth analogici trattati in maniera radicale che hanno egemonia gerarchica e rubano la scena a tutto; li senti ruggire come dei vecchi leoni soprattutto se gli oscillatori non sono in sync, lasciati liberi di schizzare ovunque come quando si schiaccia un uovo con le mani. Chi ha lavorato al missaggio è stato magistrale, l’output è piuttosto “decompresso” e si riescono a riconoscere separatamente tutti gli strumenti. La voce di Karin Andersson fa breccia nel suono, traccia una linea melodica fiammeggiante, ma è costretta a coabitare coi synth onnipresenti e suonati in maniera piuttosto cosmica, non disdegnando qualche drone o pad tirato all’infinito, almeno fino a quando il fonico non se ne accorge e disincantandosi si ricorda di abbassare il volume. Se non c’è lui, se ne occupa Olof Dreijer che gioca intimamente con le intonazioni, le fa salire e scendere come un ascensore in un palazzo d’inizio novecento, perlomeno quando non è impegnato con le sue dispotiche modulazioni a far vibrare le tracks in un unico tremolo.
“Tomorrow, in a Year” è teatrale, la voce della Andersson svetta sempre di più verso i piani alti e gli archi tracciano la linea dell’orizzonte, il resto è impressionismo puro. Se vi viene mal di testa, non v’intimorite, forse è perché la state usando, altrimenti inserite il secondo disco, nel quale i fratelli Dreijer riprendono un po’ di confidenza con il pop e, anche se l’aria è meno densa, non si differenzia estremamente da quella della prima parte. Qui i The Knife prima si trasformano letteralmente in Peter, Bjorn and John, poi a un certo punto entrano dei tom quasi tribali che annunciano cattive notizie dalla divina provvidenza e…un po’ di maltempo, ma quando subentra Karin in estasi elettronica, i pitch di Olof, gli archi e il resto, tutto allora, come previsto implode.
Ad ogni modo il pubblico li ha aspettati con fermentata impazienza considerata anche l’ottima prova solista di Fever Ray e avendo il duo da sempre avuto un’ottima intuizione nel riuscire a far parlare di se, inoltre in squadra c’è quella fuoriclasse di Karin Dreijer Andersson, nonché star ispirata e raccomandata direttamente da Odino, con ottime idee artistiche e sempre maggior sorprendente personalità. Cari sperimentatori e affini, potete finalmente uscire dalle vostre caverne underground, ci sono per voi due nuovi profeti che, una volta tanto, hanno avvicendato il vecchio caro amico pop stuprato, sventrato e abbandonato alla mercé di tutti. Questa convincente irruzione dei The Knife non potrà lasciare indifferente il mercato dell’indie. Magari a sonorità un tantino più inusuali e ricercate si converte anche qualche nuova specie “darwiniana” di Homus “ciuffetto-cravattina-maglia-a-strisce-Converse-anche-sulla-neve”, amante oltre che della propria immagine costruita, anche del solito riff di chitarra abusato, accompagnato da ritornello melodico che sa di zazzera profumata!
Autore: Luigi Ferrara
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