Chiamarlo “Happy colors for happy people” o “Aversa Rock Fest” è piuttosto ininfluente. E’ invece fondamentale riuscire ad immaginare cosa sia per una zona periferica, molto spesso dimenticata, diventare almeno per una notte un cuore pulsante di buona musica, un centro di aggregazione, un motivo per sfidare il freddo pungente di questo fine 2011. E gli organizzatori ci sono riusciti in pieno, soprattutto in un anno che si è rivelato negativo per quanto riguarda gli eventi live, perlomeno in Campania, tra un Neapolis che, nonostante i nomi di spessore, ha sofferto una tragica media di un paio di migliaia di presenze ad appuntamento, la chiusura della Sala tre del Duel:Beat di Agnano e gli svariati problemi all’Acciaieria Sonora di Bagnoli. Ma per fortuna c’è ancora voglia di suonare e, soprattutto, c’è ancora la volontà di rischiare e scommettere su un pubblico che, per quanto non perfettamente educato alla fruizione dal vivo, sembra ogni tanto emettere ancora qualche rantolo, sintomo di uno stato di salute cagionevole ma stabile.
Alle 21:30 in punto, nel gelido Palazzetto dello Sport di Aversa, di fronte ad una cinquantina di persone salgono sul palco i Sixth Minor. In due, si scambiano numerose volte gli strumenti, tra chitarre, basso, batteria e macchine. Le atmosfere rilassanti cadenzate dai soffici tocchi sulle pelli, creano una miscela di post-rock che diventa man mano inaspettatamente aggressiva e piacevole, almeno per la prima tranche. Dopo un po’, purtroppo, una varietà non troppo ampia dei suoni (fondamentale per mantenere alta l’attenzione quando si propone un genere così poco “user friendly”) fa calare le palpebre a molti. Qualche possibile incertezza anche nell’esecuzione che, anche se per poco, sembra un’improvvisazione non troppo riuscita, conlcude l’esibizione della band. Poco meno di un’ora più tardi, il numero delle persone all’interno del palazzetto raddoppia e gli Shak & Spears (guarda caso proprio una scoperta del Neapolis, ndd) possono suonare di fronte ad un pubblico decisamente più folto. Un bel rock di matrice inglese con qualche influenza folk e punk ammorbidita dall’incessante clarinetto, fa risultare l’esibizione dei ragazzi uno spettacolo decisamente di buon livello, allegro e saltellante in alcuni casi, più “introverso” (sempre con la dovuta cautela) in altri. Decisamente migliorati rispetto all’esibizione sul palco del Neapolis del 2011, gli Shak & Spears sono l’ennesima prova che l’esperienza vale più di qualsiasi altra cosa. Purtroppo suonano davvero poco: per loro gli amplificatori si spengono intorno alle 22:40 per far spazio agli headliner (che non saliranno prima delle 23:00): gli Zen Circus.
La band si presenta sin da subito più in forma che mai, colpisce subito con Nel paese che sembra una scarpa, continua senza sosta proponendo tutto il repertorio che ci si aspetta da una formazione che suona ormai da tempo immemore e che sembra fare esperienza di ogni singolo live. In ordine sparso Andate tutti a fanculo, La democrazia semplicemente non funziona (con accorata ed evidentemente sentita dedica a Giorgio Canali ed un “Fatevi fottere” urlato dall’intero pubblico ad una sola voce), Canzone di Natale, il primo (ed eccellente) singolo L’amorale, Atto secondo ed una spettacolare ed intramontabile We just wanna live. Ancora avanti con Vent’anni fino ad una immancabile Figlio di puttana. Ottima anche la risposta da parte del pubblico (non più di trecento persone, in realtà) che sembra essere in movimento dall’inizio alla fine, in continua risposta alle numerose interazioni da parte della band. Lo show continua e, sempre in ordine sparso, i ragazzi dal palco propongono una velocissima Vecchi senza esperienza, una quanto mai adeguata Ragazzo eroe ed una ballabilissima Milanesi al mare. Si arriva alla fine e dopo un velocissimo stop and go, gli Zen regalano le ultime perle della serata, da Aprirò un bar a Fino a spaccarti due o tre denti. Rush finale con I bambini sono pazzi ed una attesissima Nati per subire conclusiva.
Se c’era bisogno di un’ulteriore evidenza a sostegno del fatto che “Nati per subire” sia uno dei migliori album italiani del 2011, è questa: un’eccezionale resa live del disco, forse anche migliore rispetto ai precedenti che non lascia adito a dubbi. Provare per credere.
Autore: A. Alfredo Capuano _ foto di Alessandro Caiazzo
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