E’ davvero difficile trovare qualcosa che non sia andato per il verso giusto. Lo scorso 30 novembre, nell’incantevole (è dir poco!) location di Villa Pignatelli di Napoli, circondato da un giardino incantato, si è esibito, per la rassegna “Effetto Museo”, lo storico ex leader dei CCCP/CSI/PGR, Giovanni Lindo Ferretti. Ed il successo di
pubblico (sala strapiena e data sold-out già da giorni) non è stato altro che il riflesso della bella esibizione a cui è stato possibile assistere. Una scaletta piuttosto corposa, spalmata in un paio d’ore di concerto, con un’acustica decisamente sopra gli standard rispetto alla media della proposta napoletana, con un Ferretti che, almeno all’apparenza, si è dimostrato in gran forma e ancora capace di riuscire, nonostante la sua inversione di marcia che, fino a qualche anno fa, l’ha portato ad abbandonare le scene, a stregare la platea con una facilità, direbbe qualcuno, ultraterrena.
Un Canto Eroico è l’incipit della serata, passando per Tu Menti, Amandoti e una divertente Tomorrow. Ferretti non parla molto con il pubblico, ma la sua presenza è talmente comunicativa e capace di trasmettere emozioni che glielo si perdona facilmente. Rispetto a qualche anno fa, proprio all’inizio del tour A cuor contento, sembra essere molto più a suo agio sul palco. Merito forse anche della platea, seduta e molto educata, seppur ovviamente con qualche outsider (ricordiamo che, sempre a Napoli, al Palapartenope, durante una sua esibizione di qualche anno fa, durante un pogo completamente fuori luogo, qualcuno pensò bene di lanciare una delle sedie, in un moto di ribellione verso chissà che cosa). Mi Ami?, Oh! Battagliero e la meravigliosa (da brividi lungo la spina dorsale) And the radio plays.
Una evocativa Radio Kabul, una preghiera a braccia aperte verso il cielo, per poi passare a Polvere e ad Occidente. Si riconosce, sin dall’intro, Cupe Vampe (di cui il pubblico non aspetterà la fine per riversarsi in un estatico applauso di gruppo, con tanto di sporadiche standing ovation), Annarella (idem, come sopra) e Del Mondo (completando un trittico che sembra essere stato concepito per essere un unicum). Morire, Barbaro e la più scanzonata Per me lo so, completano la prima parte dello spettacolo.
L’encore inizia con Irata, prosegue con Ombra Brada ed Emilia Paranoica e si conclude con Unità di Produzione, per mettere il punto con Spara Jurij, sulla quale quasi tutto il pubblico presente in sala (di tutte le età) si alza ed inizia a ballare.
Sarà quell’universo oscuro che nasconde nelle sue orbite, la tonalità perfetta con cui si rivolge al pubblico nei (due) brevi interventi extra-scaletta o nel suo salmodiare riconoscibile tra mille altre voci. Ed ancor più interessante dell’esibizione in sé, per altro ovviamente di ottima qualità, è la capacità dimostrata di essere un continuo remix (e non un clone) di sé stesso. La proposta musicale del frontman è, allo stesso tempo, quella degli CCCP e quella di Ferretti attuale, non solo sul piano sensibile ma, in maniera molto più profonda, su quello concettuale, intimo, viscerale. L’urlo straziante di una Emilia Paranoica, o il canzonatorio intro di Mi ami?, acquisiscono lo stesso significato che avevano decenni fa ma, allo stesso tempo, si frammentano e, come asteroidi, colpiscono contemporaneamente piani semantici adiacenti, schiacciati l’uno sull’altro dal monumentale peso di un’entità che ha influenzato in maniera massiva (anche in maniera semi-celata), tutta la produzione musicale italiana dagli anni ’80 ad oggi. E probabilmente di tanti, tanti anni avvenire.
Autore: Alfredo Capuano