1. Prendete una copia di Io Donna del Corriere della Sera, D di Repubblica, Vanity Fair.
2. Prendetela tra le mani e lasciate scorrere le pagine velocemente tra le vostre dita. Risparmierete così, circa 7 euro di film.
È deludente questo Paolo Sorrentino. Dopo l’esperienza estatica di “Le conseguenze dell’amore”, questo “Amico di famiglia” non avremmo mai voluto incontrarlo. Iperpatinato, sconnesso, viscido e superficiale: un fallimento per il Sorrentino regista e sceneggiatore. La storia di Geremia Geremai, usuraio mammone con il complesso del padre (usuraio piacione in quel di Roma), convinto di essere benefattore di una piccola comunità nell’agro-pontino; è un compendio di banalità e luoghi comuni. Inutile dichiarare di aver voluto fare il ritratto di un mondo dominato dalla dittatura della volgarità (vedi intervista rilasciata a Luca Barnabé su Duellanti di novembre), inutile sostenere (mascherandosi dietro l’autorità del Bene) di scegliere immagini barocche come antidoto alla medietà dello stile televisivo.Che andasse a raccontarla a qualcun altro.
Il film manca di idee. È goffo, claudicante esattamente come il suo protagonista, Geremia Geremai. Un freak brutto, sporco, viscido. Un “uomo” (chiedo venia all’immenso Giacomo Rizzo) affettato (nelle sue maniere cortesi) e assetato. Un “essere” che esercita sommessamente il proprio potere. Un potere che non si veste solo di autorità, ma della materialità dei corpi, degli oggetti, del denaro. Geremia non vuole amore e rispetto. Vuole corpi e disponibilità. Non vuole corpi e disponibilità. Vuole. Una voluttà fine a sé stessa, segno di rivalsa contro le umiliazioni che la sua stessa esistenza gli riserva. Geremia svuota le “padelle” di una madre-padrone inamovibile: una specie di Moby Dick adagiata su onde di lenzuola. Ruba merendine che le getta contro, come ad un cane famelico. La “toiletta” con la devozione di una suora infedele.Vive in un inferno, credendo di essere una creatura angelica. E agogna un posto in Paradiso. Un paradiso biondo, armonioso, eppure vuoto e sprezzante.
Un paradiso che veste i panni di una ragazza-mannequine (Laura Chiatti): tutto corpo, niente cervello. Poche idee mischiate nella testa e la chiara presunzione di sapere sempre cosa bisogna fare. Un paradiso che maltratta il suo carnefice, vittima della sua sete di potere. Geremia forse non vuole lei, vuole la perfezione del suo corpo. Vuole qualcuno che si dedichi a lui come lui si dedica alla madre. Vuole credere di poter amare e di poter essere amato. E pur di poter possedere quest’ultima illusione è disposto a rinunciare al suo mondo di rinunce certosine. Per poter una volta tanto generare e non più solo possedere.
Ma nessuno è mai sfuggito alla propria natura. L’unica cosa che ci è dato di possedere.
Autore: Michela Aprea