Dopo aver superato la soglia dei trenta film, Pupi Avati si pone – verosimilmente – come uno dei più grandi cineasti italiani. Questo, però, non significa che sia un genio meritevole di un posto affianco ai grandissimi del nostro iperuranio cinematografico. Il suo è un cinema onesto che non eccede mai e che poche volte trasuda un’eversiva voglia di cambiare i canoni prestabiliti della celluloide. Il merito di Avati è nella gestazione del film, fase in cui si riconosce la sua indiscussa autonomia creativa. Un cinema d’autore il suo, non proprio nel senso più dotto del termine, ma che vede il regista vero e proprio “auteur” di tutto quello che appare sullo schermo. Mai Giuseppe (questo il suo vero nome ) lascia ad altri il compito di scrivere la sceneggiatura, e si comporta allo stesso modo per i soggetti, che sono, nella maggior parte dei casi, di sua paternità.
Nato a Bologna, esordisce con “Balsamus, l’uomo di Satana”(1968) un filmetto che non mostra il suo estro ed anzi lo lascia ben nascosto grazie ad una storia tanto inestricabile quanto grottesca. In Balsamus però già sono rintracciabili alcune tematiche che poi riemergeranno nella produzione del regista. Sia il fantastico che l’esoterico caratterizzeranno la sua cifra stilistica già dal secondo film titolato “Thomas e… gli indemoniati”. Anche l’opera seconda passa inosservata, infatti soltanto il suo “La Mazurka del barone, della santa e del fico fiorone” (1975) riesce a riscuotere un discreto successo forse per l’impiego di attori famosi come Paolo Villaggio e Ugo Tognazzi. Le pulsioni sessuali represse e gli istinti pruriginosi ispirano anche “Bordella” del 1976, in falsariga con la commedia all’italiana, primo film di Avati a palesare un certo contenuto e controllo stilistico. È comunque la sua viscerale passione per il jazz ( altro leitmotiv ) a portarlo sul fronte degli sceneggiati tv in “Jazz Band”. Senza dimenticare una pregressa parentesi a metà strada tra horror e vita rurale come “La casa dalle finestre che ridono”(1976), e “Tutti Defunti… Tranne i Morti”(1977) un giallo che rispetta tutte le caratteristiche del genere. Dopo l’incerto “Aiutami a sognare” (1981), ritorna la tematica della musica con “Dancing Paradise” (1982), sceneggiato tv tradotto in film, che narra la storia di William figlio alla ricerca di suo padre rinomato batterista. L’horror, linguaggio cinematografico gradito ad Avati, riappare in “Zeder” dell ’83 con una vicenda surreale che non ha niente da invidiare ai classici del genere, se non un budget più sostanzioso. La drammaticità dei tre film “Una Gita Scolastica” (1983), “Festa di Laurea”(1985) ed “Impiegati” (1985) li accomuna in un’ideale trilogia del fallimento esistenziale e della nostalgia che ci narra di piccoli uomini alle prese con la vita quotidiana e con i ricordi di una vita malspesa. “Regalo di Natale” (1986) è la storia brillantemente costruita di quattro incalliti giocatori di poker che il giorno di Natale si riuniscono per ritrovarsi da buoni amici e giocare una tranquilla partita al tavolo verde. In verità è un pretesto per fregare un industriale che si dice un perdente, e cavargli dalla tasca quanti più soldi è possibile. Ma non finirà esattamente così. Grande film, impreziosito dalle ottime interpretazioni di Diego Abatantuono nei panni inusuali di un personaggio drammatico, del nevrotico Alessandro Haber e, soprattutto, di Carlo delle Piane misurato e micidiale allo stesso tempo (premiato con il Leone d’Oro). La musica fa da sfondo anche a “Noi Tre” (1984) e “Bix” (1991), ritratti di due grandi geni delle sette note come Mozart e il jazzista Bix Beiderbecke, entrambi chiamati a leggere l’inestricabile spartito musicale dei legami umani. Il capolavoro di Avati arriva con “Magnificat” (1993), maestoso film drammatico in concorso a Cannes che si cimenta con grandi temi senza timore reverenziale, rifacendosi al medioevo di Bergman impregnato di morbose paure religiose. Alla croisette ritornerà un anno dopo nelle veci di membro della giuria.
Dopo la commedia “Dichiarazione d’Amore” (1994) e l’horror “L’arcano Incantatore”, stempera la consueta emotività della sua produzione con “Il testimone dello sposo” (1998) e si presta alla grande produzione con “I Cavalieri che fecero l’Impresa”(2001). Da annotare sono gli ultimi “Il Cuore Altrove”(2003) e “La seconda notte di nozze” (2005), in cui Avati dà prova della sua abilità nel trovare doti attoriali in personaggi televisivi o rinomati d’Italia per riuscire ad ottenere risultati sempre meno accademici, ma più genuini.
Oltre alla commedia dall’esito meno riuscito “Ma quando arrivano le Ragazze?”(2005), bisogna ricordare “La Rivincita di Natale”(2004) un’altra grande prova pregna di significati, sequel di “Regalo di Natale”, che ci mostra diciotto anni dopo gli stessi giocatori sempre più avidi di soldi e più ingialliti dal male di vivere e dallo squallore del tavolo da gioco.
Avati è, in definitiva, un instacabile mestierante che a volte riesce e a volte no, rimanendo sempre coerente con la sua linea creativa e confermando di film in film la completa padronanza del mezzo cinematografico. La sua prolificità non si affievolisce col passare degli anni tant’è vero che già adesso sta preparando la sua nuova opera : “La Cena Per Farli Conoscere”…
Autore: Roberto Urbani