Anthony Gonzalez, mente e anima degli M83, è tornato a settembre su un progetto di 12 anni fa, ovvero Digital Shades, l’album di pezzi strumentali rilasciato nel 2007 quando ancora la one man band era poco nota e aveva rilasciato un solo album autenticamente dream pop, ovvero lo splendido Before the Dawn Heal Us.
Digital Shades vol. I ebbe allora il significato di un album minore, una raccolta di colonne sonore per film che non avrebbero mai visto la luce, una possibilità per Gonzalez di esplorare nuove aree di creatività musicale riconoscendo anche il suo debito a artisti come Brian Eno, ispirazione primaria per un disco di questo tipo, decisamente ambient.
Adesso, Digital Shades Vol. II, rilasciato a settembre da NAIVE records, completa il quadro riportando gli M83, dopo il fallimentare Junk, verso la musica che è loro più consona, quella straordinariamente creativa e suggestiva, che solo loro in questi anni hanno saputo regalarci. Ascoltando Hell Riders, il pezzo introduttivo, si capisce subito che il Vol. II è più ambizioso del primo. Hell Riders potrebbe essere in toto una canzone degli M83, se vi fosse stata incisa anche la voce: su una base di aria elettronica si staglia all’improvviso un riff suadente di chitarra classica, un abbinamento che soltanto a Gonzalez poteva venire in mente. Così come Meet the Friends, Goodbye Captain Lee o A Bit of Sweetness, meno dinamici del precedente, sono comunque pezzi musicali a tutto tondo, dove ad esempio compare anche un campionamento di sax, o in Lune de Fiel, per la prima volta nel disco alla traccia 8, compare anche una batteria sincopata, frutto anch’esso della grande capacità compositiva di Gonzalez.
Certo, vi sono pezzi strumentali in Digital Shades Vol. II meno completi, meno trasognati, esperimenti musicali anche un po’ fini a se stessi, come già nel primo Digital Shades, come Colonies, o Feelings, o Jeux d’Enfants, Lunar Son, Mirage, che sono poco più che esercizi al pianoforte (anche se Jeux d’Enfants ha una sua linea melodica appassionata), ma complessivamente si ha la sensazione che Digital Shades Vol. II sia un vero disco, per quanto strumentale, e non un esperimento creativo come il suo predecessore. Soprattutto, si sente che Gonzalez e soci hanno ritrovato la strada della composizione melodica ispirata, sognatrice, invece di inseguire lo scimmiottamento del pop anni ’70 come hanno fatto, provocatoriamente ma in maniera deludente, in Junk, il disco precedente.
Caratterizza poi in maniera particolare questo disco il ricorso al pianoforte classico e alla composizione pianistica pura, per esempio in Taifun Glory, che è presente in quasi tutti i pezzi, anche se sempre accompagnato (talvolta troppo coperto, come in Oh Yes You’re there Everyday) da tastiere, campionamenti, e effetti sonori che sono poi gli accostamenti tipici di questa band campione del dream pop. Il disco si chiude infine con un pezzo tutto autenticamente loro, pieno di quell’aria meravigliosa che si respira nei loro dischi, che è Temple of Sorrow.
Complessivamente, il disco non è ancora un ritorno degli M83 alle atmosfere e alle melodie che ci hanno fatto sognare in Hurry Up we’re Dreaming, ma per essere un disco minore si percepisce che Gonzalez è ritornato a fare musica sul serio.
autore: Francesco Postiglione