Se è vero che il certificato di morte del rock è continuamente redatto e poi posposto, per il decennio appena iniziato il merito sarà anche dei Wolf Alice in prima linea. Band come Daughter, M83, Explosions in the Sky, Mogwai e I Break Horses non sono più i soli alfieri del post-rock venato di dream-pop, unico genere a far vibrare di novità i cuori degli amanti del rock alternativo. La band londinese di Ellie Rowsell, deliziosa voce bianca, e di Joff Oddie alla chitarra, Theo Ellis al basso, Joel Amey alla batteria, ha fatto parlare di sé sin dal primo singolo Fluffy, nel lontano 2013 quando uscì il primo EP Blush, seguito poi da un altro EP e infine dall’album di esordio My Love is Cool, che raggiunse la seconda posizione della classifica Official Albums Chart e la candidatura al Premio Mercury 2015, il cui brano Silk viene incluso nella soundtrack del film T2 Trainspotting.
La band sembra destinata sin dall’inizio ai grandi trionfi: l’anno d’oro è il 2016, quando ai Grammy Awards la band ha ricevuto una candidatura nella categoria “miglior interpretazione rock” per Moaning Lisa Smile, e ai BRIT Awards viene nominata “miglior artista/gruppo rivelazione”, vincendo ai NME Awards due nominations come “Best Live Band” e “Best Track”.
Vision of a Life è il secondo disco del 2017, ed è una bella conferma. Ma la consacrazione arriva con Blue Weekend, un disco semplicemente straordinario, con cui nel 2021 i Wolf Alice si candidano senz’altro a raccogliere importanti soddisfazioni e fama meritata per tutto il decennio che verrà. E’ un album perfetto, finanche nella scelta della tracklist e della alternanza fra i pezzi: si inizia con The Beach, volutamente affidata a cupi suoni synth, molto elettronica e dark, per cambiare registro con Delicious Things, melodica e poppeggiante, per poi piazzare il primo grande brano portante con Lipstick on the Glass, che i fan sono destinati a cantare nei live sicuramente per i prossimi anni.
Smile è una veloce parentesi di puro rock, mentre Safe from Heartbreak è una ballata acustica leggera. How can I Make it Ok? torna al sound di Lipstick on the Glass, che è poi il sound portante, molto post-rock, della band, alternato fra chitarre elettriche e sintetizzatori di pura atmosfera ariosa e solare. Segue Play the Greatest Hits che è una voluta, provocatoria improvvisazione punkeggiante, e poi Feeling Myself e soprattutto The Last Man on Earth raccolgono e portano a trionfo il sound marchio di fabbrica già sentito nelle track 2, 3 e 6.
No Hard Feelings torna a melodie pop, mentre The Beach II chiude dove The Beach I apriva il disco, ma la track di chiusura non è una reprise, bensì una canzone diversa, solare e luminosa, laddove l’esordio era oscuro.
In sostanza, l’album si muove intorno a canzoni capolavoro come Likpstick on the Glass, How Can I Make it Ok? e the Last Man on Earth, che contengono l’anima e il cuore del disco, seguite a stretto giro per complessità di esecuzione da No Hard Feelings, Feeling MySelf, Delicious Things che pur usando la stessa strumentazione e raffinazione musicale scelgono percorsi sonori alternativi, mentre Smile e Play the Greatest Hits o Safe From Heartbreak sono vere e proprie variazioni sul tema, in cui i synth sono assenti o quasi, studiate, volute, per rendere il disco colorato a 360 gradi.
Una tale minuziosità di composizione, di esecuzione, di alternanza fra gioielli musicali sarebbe già abbastanza per confermare il talento dei ragazzi giovanissimi. Ma The Last Man on Earth supera di gran lunga il già bellissimo lavoro svolto nelle altre tracce, e si candida a diventare un classico fra i classici, con le sue citazioni di Pink Floyd e soprattutto con la ispirazione di Space Oddity nemmeno tanto implicita quando comincia la variazione interna di un paio di minuti.
Insomma, la band di pezzi sostanzialmente rock come Mona Lisa Smile, forse la sua hit più famosa, o Silk, lascia qui le chitarre più rumorose e graffianti per dedicarsi ad inseguire atmosfere e melodie da sogno, e il gioco riesce perfettamente: Blue Weekend è un album che non sa stare coi piedi in terra ma vaga nell’etere profondo, e non farà stare coi piedi in terra chi lo ascolta, portandolo a evocare luoghi e spazi siderali, come pochi dischi nella storia del rock hanno fatto.
I Wolf Alice hanno raggiunto il loro Olimpo. Speriamo che nessuno li faccia scendere troppo presto.
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autore: Francesco Postiglione