Tra i moderati, titoli come Bloodsports, Dogmeat o Face like a skull farebbero salire il sangue al cervello e devo dire anche a chi come me odia l’immediatezza, la frase buttata lì solo per provocare un’eco. Ma nella testuggine dei Drenge c’è un livello di ostinazione che prova a spingere in un dirupo immaginario il già sentito e di già sentito in questo loro esordio ce n’è tanto.
Il brano più deciso è Let’s pretend che vuole estendere il concetto di fisicità ad un livello più ampio di rarefazione rock, quasi sui sentieri che portarono alle pendici dell’art. C’è rumore, c’è un’indefinitezza decadente e rabbiosa che diventa dolina quando lascia da parte la rifrazione come in Fuckabout, o si tramuta in mutualistico core/shoegaze nel verso contrario, come in quasi tutto il resto dell’album, con a parer mio una tendenza volutamente mainstream sull’uso degli smorzamenti.
C’è anche una bella versione della dixoniana, poi catturata dagli Stones, I don’t want to make love to you, denaturalizzata in una potenza ritmica invereconda e sul finale sottesa in uno stridulo punk.
In tutti i casi, al di là della consistenza che oggi può avere una bella recensione fatta sul Guardian o su NME, gira bene per il duo di Sheffield che riesce quasi sempre a far rientrare nel tracciato della palizzata ogni disperata struttura, ogni stonatura di classe, ogni graffio sulla chitarra che nasconde i giri di basso, finendo per ricordare, a intermittenza protratta, Blue Cheer, Led Zeppelin, Jon Spencer, Sex Pistols, parti corrosive di grunge-punk o finti garagismi, veramente troppo poco lo-fi.
È nell’immediato che si riconosce un blues deflagrante o un punk da grasso che cola, ma è come dire che di tutto questo roll over dei Drenge si siano già sentiti i rintroni su altri piatti fatti in casa o poco oltre quei confini d’Albione. Interessante invece l’attacco di Backwaters che provoca contrasti tra il cantato oscurantista e lo stoner ritmico. Esordio comunque positivo perchè i ragazzi ci sanno fare tecnicamente, ma non è proprio il massimo degli ultimi anni in termini di cuore, a dirla tutta.
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autore: Christian Panzano