I Placebo chiudono l’edizione del Rock in Roma alle Capannelle più ricca che ci sia mai stata: Ben Harper, Simple Minds, Cure, Portishead, Kasabian, Garbage, Lenny Kravitz sono solo alcuni dei nomi che sono transitati quest’estate nella capitale. Ognuno di loro poteva degnamente chiudere il festival, ma i Placebo con il concerto del 2 agosto hanno dimostrato di essere oggi forse la più valida live band di alternative rock melodico.
Il concerto è troppo breve (solo 18 pezzi, per un totale di un’ora e trenta) ma indiscutibilmente intensissimo: Brian Molko, Stefan Olsdal e l’ormai stabile Steve Forrest sfoderano pezzi al fulmicotone uno dopo l’altro, con brevissime pause e spesso anche attaccando un pezzo all’altro senza soluzione di continuità.
Si comincia, per la verità un po’ in sordina, con Kitty Litter, prima e non impedibile track dell’ultimo album, e poi con la title track Battle for the Sun per poi scatenare subito Every you and Every Me, che arriva forse troppo presto, a pubblico non ancora caldo.
Segue, sempre da Battle for the Sun del 2009, Speak in Tongues, e poi la prima “chicca”: Black Eyed, un pezzo che da tempo enorme i Placebo non eseguivano.
Special Needs, subito dopo, è ormai uno dei classici del trio: questa volta lo eseguono concludendo con un solo di piano, emozionante. Già da questi primi sei colpi emerge la novità principale: il trio, solitamente presente in versione essenziale sul palco, si fa affiancare stavolta da Bill Lloyd alla tastiera e basso, Nick Gavrilovic alla tastiera e chitarra e Fiona Brice per la tastiera e violino e i controcanti. Ed è una scelta vincente: rispetto agli ultimi live di due anni fa, il trio perde forse qualcosina in energia live, ma ne guadagna in tecnica, in resa, e in complessità dei pezzi.
I Placebo si permettono così di rivisitare le versioni solite di For What it’s Worth (più tirata dell’originale) e soprattutto di I Know, dal primo album omonimo, che qui ne esce come uno dei pezzi più suggestivi ed emozionanti della serata: lento e commovente all’inizio, esplode in batteria e in effetti di luci stroboscopiche e fumi mentre la band al completo ci dà dentro con violenza struggente.
Segue un’altra chicca: Slave to the Wage, e poi la hit più forte dei tempi recenti: Bright Lights, breve ma intensa e preziosa. Un canto volutamente rallentato e quasi nenioso introduce Meds, che dopo la prima strofa scoppia poi grazie alla batteria del colosso fisico Steve Forrest, e arriva poi un altro gran regalo: Teenage Angst, sempre dall’album degli esordi, ma in versione completamente rinnovata.
I Placebo ci tengono a regalare ai fan pezzi suonati in maniera diversa: Brian Molko non mantiene una intonazione di quelle originali, e modifica la sua linea di canto praticamente su ogni pezzo, e gli effetti elettrici e di synth introducono continuamente novità inedite.
Siamo intanto alla fine della prima parte, e Molko e compagni lanciano Song to Say Goodbye e concludono con Bitter End, violenta come sempre.
C’è una breve pausa, e per il bis i Placebo regalano Running up the Hill, la splendida cover di Kate Bush, e poi, altra chicca, Post Blue, dall’album Meds, e il nuovo inedito singolo che anticipa il prossimo lavoro da studio, B3, per concludere con una tiratissima e durissima Infra-red in versione acid-trip.
Brian Stefan e Steve salutano in inchino, e il pubblico li acclama, per un concerto che, pur se partito non al massimo, ha dato davvero tanto in energia e resa, anche se mancano ahimè all’appello troppi pezzi, da “Special K” a “This Picture”, da “Drag” a “Taste in Men”, da “Sleeping with the Ghosts” a “Twenty Years” o “Neverending Why”, sacrificati probabilmente ai tempi dell’Ippodromo delle Capannelle che alle 23.30 doveva lanciare il party di chiusura con dj-set.
E tuttavia anche se in edizione minima i tre demoni dell’alternative rock non si sono risparmiati: ritmi da infarto, batteria violentata come sempre da Forrest, e grande calore e intensità per Molko e Olsdal: a pochi mesi dal loro nuovo album, i Placebo si candidano decisamente come una tra le migliori alternative-live band anche per il nuovo decennio.
Autore: Francesco Postiglione
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