In tempi in cui si cerca l’X Factor in un programma televisivo, per ‘cover’ si intende la reinterpretazione di un grandissimo successo del più noto dei cantautori. Per Ginevra Di Marco la parola non ha lo stesso significato. A dimostrarlo arriva il secondo appuntamento con Stazioni Lunari, un disco dal titolo “Donna Ginevra”. Un’opera-viaggio che attraversa l’Italia e l’Europa su di un carro che si porta addosso anni e tradizioni, come quella albanese di Ali Pashà, o quella toscana de La Malcontenta. Come il dopoguerra napoletano di M’aggia Curà, o la melodia cubana di Silvio Rodriguez in La Maza o la bretone Au Bord De La Fontane. Un viaggio che porta in terra fiorentina la versione campana del XVI secolo de Le Figliole, o la danza rom di Usti Usti Baba. Poi arriva Luigi Tenco con Io Sì e la canzone d’amore italiana esplode in tutto il suo splendore dei tempi più recenti. Un pizzico di quotidianità giunge con Il Crack Delle Banche, un brano di fine Ottocento che più attuale non poteva dimostrarsi (I nostri governator son tutti malfattor, ci rubano tutto quanto per farci da tutor).
“Donna Ginevra” si veste dell’intento di paragonarsi a tanti generi e riportarli alla luce con la giusta dose di ironia e folclore. La voce della Di Marco – quella che non può fare a meno di ricordare l’esperienza con il Consorzio Suonatori Indipendenti – è un certificato di garanzia sul quale si possono leggere le firme del marito Francesco Magnelli, di Andrea Salvadori e di Marzio Del Testa.
Un impegno ben preciso: ripescare nella cultura popolare la terra più fertile e concimarla di suoni memorabili. Senza perder di vista l’oggi, ma con un occhio a ciò che è andato, si spera di costruire un futuro musicale senza badare allo share televisivo.
Autore: Micaela De Bernardo