Guidata dal gallese Neil Ovey, voce e chitarre, e dai francesi Franck Mahmoudian (basso), Sylvain Dorange (tastiere) e Frédéric Guérin (batteria), Pest Sounds, sebbene all’esordio, sembra essere una band navigata, anche troppo. Lo dimostra il buon trittico iniziale: il soul cubista di Prizefigther frammentario e cervellotico, il rock-blues sbilenco e nervoso di Tape Deck, la riflessiva Tailspin, sulle amare note di un piano. Poi il ciclo si ripete con decrescente convinzione. Si ritorna all’heavy-blues frammentario di Alsace Samurai, quindi si rallenta con uno scarno sottofondo di chitarra che accompagna il soul svogliato di Afternoon Film, si riprende a singhiozzare sul crossover di Sneaky Sips, per fare ritorno alla paranoia di Russian Roulette. Poi la voce (che mal si presta) manca il bersaglio quando è chiamata a sclerare sulla tensione strumentale di Gang With No Legs e si fa buio fitto. Spooned è poco più di uno scarto, Xxxxx un graffietto, Misanthropic Wife morbosa e inutile. Il finale è affidato al sarcasmo e alle minacce di I Am The Golden Gun, che evoca immagini da film noir. Ovey e soci hanno scovato un filone di indiscutibile fascino, sintetizzando la negritudine soul del canto con la dissonante avanguardia della strumentazione, ma se gli ingredienti sono giusti, ad essere sbagliate sono le dosi. O quantomeno manca il sale (melodico) e mancano calore ed entusiasmo, nonostante ci sia Albini in consolle, che non è certo uno che frena gli ardori, anzi, semmai li amplifica. Infine dei 76 chili di risate annunciati dal titolo non c’è nemmeno il grammo di un sorriso, ma il broncio rammaricato di chi ha mancato un’occasione importante.
Autore: Fabio Astore