A chi non è mai capitato di andare al cinema senza avere la minima idea di quello che andrà a vedere? Incontro un amico dopo un milione di anni, non ci vedevamo dai tempi delle elementari, io lo invito ad andare a prendere una birra, lui invece vuole andare al cinema.
Sfogliamo il giornale insieme e tra decine di titoli salta agli occhi uno di quei film a scarsissima distribuzione, di cui ero totalmente ignara, ma a cui non ho saputo resistere…Il suo nome ? Le mele di Adamo. Entriamo in sala completamente all’oscuro di tutto.
Candidato dalla Danimarca agli Oscar come miglior film straniero, “Le mele d’Adamo”, l’ultima fatica di Anders Thomas Jensen (sceneggiatore di “Mifune” e “Non desiderare la donna d’altri”) è un cocktail adrenalinico di incredulità, risate blasfeme, horror alla Romero, misto al suspense di puro stampo hitchcockiano e alle atmosfere surreali di Jeunet.
Il film, una parabola sull’impossibilità di distinguere tra il bene e il male (che costantemente cadenzano la nostra quotidianità), è un accorato appello alla possibilità di appellarsi (tuttora) al principio di autodeterminazione che coincide in questo caso, con la scelta da buona pecorella di scegliere la strada del bene.
Fin qui sembra di trovarsi di fronte al classico compitino di pura ispirazione moralistica di stampo americano, ma si tralascia un fatto importante: il film non è per nulla americano. Ed è totalmente amorale. Un melodramma (almeno così è stato definito), dall’animo tremendamente grottesco, con sfumature poco velate di una comicità bieca e a tratti brutale ma fortemente catartica. Libera nos a malo, verrebbe da dire ma in realtà svelando il nocciolo duro del perbenismo imperante, ci invita a liberarlo il male che c’è dentro di noi e ridere anche se a denti stretti, dei pregiudizi più inconfessabili.
Adam è un naziskin, rissoso. Taciturno, rinchiuso nella bieca ottusità delle sue idee. Per chissà quale motivo viene mandato in una sorta di comunità di recupero gestita da padre Ivan. Un pastore protestante in netta opposizione è evidente, con la realtà. La cosa assurda è che questo evangelista del “porgi l’altra guancia”, totalmente sganciato da tutto ciò che appartiene al mondano e in diretto contatto con un divino che si rivela sempre di più un paradossale, dovrebbe fungere da guida verso la normalità dei suoi ospiti: un ex-tennista ormai obeso alcolista e pure incautamente cleptomane, un rapinatore islamico che ce l’ha con le stazioni di servizio della Tamoil, una giornalista ambientalista alcolista rimasta fortuitamente (ma non fortunosamente) incinta. Ma la normalità sembra sfuggirgli.
In questo tourbillon umano viene travolta la vita di Adam, un uomo che per redimersi ha scelto di preparare una torta di mele (ogni riferimento al frutto del peccato non è assolutamente casuale). Ci riuscirà mai?
Autore: Michela Aprea