12.03.2013 Primo giorno di festival. A raccontarci il prestigioso SXSW è un caro amico di Freakout e storico booking agent italiano.
Ok, è il secondo anno che si va al South By SouthWest, in breve SXSW, il grande festival musicale, ma non solo, di Austin, Texas. Per un periodo di due settimane la città è invasa da fan del mondo cinematografico, video-ludico e interattivo e soprattutto musicale: sì, perchè Austin è la grande città sede dell’Università del Texas, e il festival musicale capita proprio durante lo Spring Break, le vacanze di Primavera, durante le quali tanti giovani staccano dai loro studi per darsi al puro abbandono e divertimento. E Austin in questa settimana diventa la mecca per tutti gli appassionati di musica: show a tutte le ore del giorno e della notte (o quasi, basta sapersi informare), showcase segreti e spettacoli di band leggendarie in mezzo alla strada. Ma andiamo per ordine e parliamo della parte prettamente musicale.
Il South By SouthWest non è il vostro solito festival: volete andare a fare business? Acquistate il vostro bel pass per andare alle conference e agli eventi a numero chiuso: comunque per quelli più attesi vi si prospetta una fila indicibile. Secondo me, la cosa migliore della città, è viverla in questi giorni. Magari la prima volta vorrai vedere tutte le cose Official, ma ti renderai conto che intorno c’è un intero universo di eventi Unofficial e avrete solo l’imbarazzo della scelta e decidere dove mangiare, bere e guardare/ascoltare buona musica. E spesso tutto è gratis! Ma soprattutto prendetela come una vacanza, e non come il festival dove vi sentite obbligati a vedere XYZ live. Al SXSW le bands suonano spesso in situazioni che manco nei più fetidi scantinati della nostra penisola (eppure, incredibilmente, il suono sembra sempre migliore, di quello dei nostri migliori club).
Arriviamo il giovedì pomeriggio, dopo esserci fatti qualche giorno da cari amici a Houston, dove abbiamo provato l’ebrezza del vero iMax 3D (non riuscirete più a vedere un film allo stesso modo), il gusto di una grigliata all’americana con barbecue nel parcheggio, e visitato la NASA, dove abbiamo definitivamente capito che gli Americani sono pazzi di due cose: Angry Birds e Gangnam Style. Ma questa è un’altra storia…
Torniamo a Austin e fatto check-in, con l’albergo opportunamente prenotato mesi prima (la crisi c’è anche in America, quindi aspettare gli amici per affittare un appartamento last minute, poteva trasformarsi in un tragico autogol) ci dirigiamo verso il West Side, la zona dove sono radunati tutti i locali, e dopo esserci fatti un’oretta nel traffico del giovedì pomeriggio all’ora di punta, decidiamo che l’East Side è la parte più alternative della città. Parcheggiamo a due passi dal Centro (almeno come un Italiano o un Americano concepiscono il Centro di una Città, qualora leggesse un Milanese, consideri come se avessimo parcheggiato in un’altra città) e ci mettiamo in marcia: abbiamo una vaga schedule degli eventi (quest’anno i preziosi consigli dell’amica americana sono serviti a farci scoprire tutti gli eventi Unofficial) e ci iniziamo a guardare attorno. Incappiamo per prima cosa a Schmalt’z: fondamentalmente una camionetta con prodotti vegani (vegani e vegetariani questa città è il vostro paradiso). Qui si paga per mangiare e abbiamo già individuato i posti dove si possa scroccare, ma intanto ci fermiamo ad assistere degli sfattoni che stanno suonando, solo dopo il set apprenderemo chiamarsi Apache Dropout. Un trio tipicamente americano che ricorda per certi versi i Wavves e che comunque colpisce per la sua capacità di trattenere il pubblico davanti le sue distorsioni, nonostante stessimo nel cortile di una casa. I ragazzi ci convincono e ci appuntiamo il nome, prima di procedere verso Downtown.
Qui è dove si svolge l’SXSW Ufficiale, dove ci sono tutte le migliori venue (escluso il nuovo Emo’s, ma raggiungerlo è un po’ complesso, e quindi anche quest’anno non lo vedremo) e i locali dove fermarsi a mangiare e bere: inquadrato dove si trova Viceland (ovvero il mega-locale dove si terrà il party di Vice Magazine, a cui tra l’altro non riusciremo ad entrare perchè consta una fila apocalittica), incappiamo in un doubledecker giunto direttamente da Londra; sul palco i Cave Painting, una formazione inglese sicuramente interessante, che offre un pop/rock con alcune linee melodiche molto anni ’90. Forse un po’ dozzinali nel loro presentarsi, ma sostenuti dalla ottima voce del cantante. Li avevo studiati già qualche mese fa e ora ho visto che sono passati ad una agenzia europea importante. Interessanti.
Finalmente raggiungiamo la 6th Street, il cuore pulsante dell’Austin dell’SXSW. Locale dopo locale si propana davanti a noi, ma la nostra meta è ben chiara, il Maggie Mae’s, che nei giorni a seguire sarà un po’ mecca e un po’ chimera. Assistiamo all’esibizione dei The Rocketboys, una formazione americana indie rock dallo stampo molto classico che non riesce però a coinvolgerci. Eravamo qui per i loro compagni di management e delusi torniamo in strada per dirigerci al primo posto che ci preme davvero; ovvero un posto che offra cibo gratis. Lungo la via incappiamo nell’esibizione al B.D. Riley’s, uno dei pub irlandesi sulla 6th Street, degli Hiatus Kayote. Una esibizione fuggevole (cavolo volevamo vedere i The Beards), che comunque ce li fa appuntare come degni di nota. Da indagare meglio.
Ed eccoci finalmente al nostro primo obiettivo: pizza gratis da Patagonia. No, Patagonia non è il nome del locale, ma è proprio il flagstore della nota marca di abbigliamento. All’interno del locale, come dicevo, pizza e drink gratis ed esibizioni di vari musicisti. L’evento a numero chiuso, non richiede prenotazione, e mentre cerchiamo un capo di abbigliamento che ci soddisfi (degli hot pants, non per me, ovvio!) ascoltiamo le emergenti Lemolo, un duo femminile di Seattle, molto promettente e per ora alquanto sconosciuto anche da quelle parti. Le ragazze riescono comunque a conquistare l’attenzione dei presenti (non pochi, tra l’altro. Pizza gratis vince bene!).
A questo punto arrivano le richieste: voglio vedere i Black Lips suonare in America. Ritorniamo indietro sulla 6th Street per dirigerci verso l’East Side. Passiamo davanti al Friends (dove c’è l’ambasciata canadese all’SXSW, ovvero tutte band canadesi che suonano, sponsorizzate dal ministero della cultura di quel paese), e scopriamo gli Imaginary Cities: bel sound crescente, qualcosina di primi Arcade Fire, altro gruppetto scoperto per caso che non pare malvagio. Abbiamo il tempo di ascoltare un paio di canzoni e poi tirare dritto, passando davanti al palco in mezzo alla strada del Red Bull Sound Select. Sì, c’è una recinzione che impedisce l’accesso all’area (dove è tutto a pagamento, manco la redbull ti regalano), ma da fuori possiamo tranquillamente vedere l’esibizione di Chance The Rapper, e capire quanto il Rap la faccia da padrona a questo evento, di solito sempre per gli annoiati indie-kids. Dove l’anno scorso era l’elettronica a dominare, dietro il fenomeno Skrillex, quest’anno sono i rapper nelle loro innumerevoli vesti ad attirare l’attenzione della folla.
Ok, non c’è molto tempo per soffermarci, e proseguiamo a spron battuto verso l’Hotel Vegas, per assistere agli Allah-Las e ai Black Lips. La fila intorno all’edificio è di quelle veramente mostruose, e degli Allah-Las riusciamo ad intravedere solo la fine dell’esibizione. Resici conto dell’inutilità dello stare in fila e della recinzione malandata e bassa, ci mettiamo di lato, tiriamo un po’ di telo, e praticamente vediamo tutto il concerto dei Lips da lato palco. Palco. Una struttura traballante coperta da un telo, che sembra destinata a venire giù da un momento all’altro, e folle di bambini ululanti, mentre parte Bad Kids. Sicuramente il miglior momento, finora, e noi, assetati ma soddisfati ce ne torniamo verso la 6th Street, ma prima ci fermiamo da Papi Tino’s dove incappiamo nell’esibizione dei White Mistery, novelli White Stripes, ma di Chicago, e possiamo bere a sazietà (l’acqua in Texas è un bene prezioso), oltre che farci una bella foto ricordo, per conto di non mi ricordo quale sponsor (sì la ripetizione è voluta: saranno cattive le multinazionali, ma un evento del genere non sarebbe possibile senza di loro).
Dissetatici con della buonissima acqua (chi lo sa, magari diventerò un mutante, ma questo lo scoprirò tra anni), arriviamo a Cheer Up Charlie’s, noto locale Bear-Friendly, che diventa il paradiso dell’hipster indie rock durante l’SXSW. Consigliatomi l’anno scorso dall’amico Jonathan Clancy, ci fermiamo per riposare, mangiucchiare qualcosa e veniamo rapiti dall’esibizione di questi bambini che nessuno sembra conoscere e che sono appena arrivati dalla California. Solo a fine concerto scopriamo chiamarsi Vinyl Williams, e a curre i loro interessi ci pensa lo stesso management dei Crystal Fighters. I giovani non hanno colpito solo noi ma anche un agente internazionale che era lì per seguire un’altra band. Salutiamo l’amico francese e questa nuova scoperta e nuovamente ascoltiamo il richiamo della pancia: è ora di fermarsi e il Jackalope chiama! Il Jackalope, per motivi che ignoro, viene chiamato il miglior bar alternativo d’America, e i suoi hamburger sono decisamente gustosi, ma niente di veramente eccezionale, o almeno come me l’avevo presentato. E’ comunque meglio della maggior parte dei locali dei dintorni per mangiare e soprattutto non ti pela… e poi la birra è ghiacciata e chiedere una Stella o una Tennent’s senza che ti guardino storto (lontano dalle Miller Light! Lontano!) non ti fa sembrare un alieno. Rifocillati cerchiamo a questo punto i posti serali, ma mai come quest’anno è tutto o a pagamento o solo col braccialetto: quindi collezioniamo una serie di buchi nell’acqua. Ci fermiamo da Rusty’s a vedere Silas Fermoy che ci convincono fino ad un certo punto, e poi incappiamo nel mitico enorme baraccone dell’Heart of Texas Rockfest, un festival alternativo all’SXSW, nel centro della città, in un enorme parcheggio, dove si esibiscono le tipiche rock band americane che sono rimaste negli anni 80 e 90. Sì, capelli lunghi, pelle e tante chitarre potenti. Intorno bancarelle di ogni sorta tra cui il leggendario Kebap di Berlino. Sarebbe da entrare solo per provarlo ma decidiamo di restare fuori e guardare tranquillamente l’esibizione dei non sgradevoli Love & .38.
Incrociamo così la Red River Street dove si sposta l’attività di molti locali notturni, con party privati, e file enormi. Ma la più grande fila si trova da Stubb’s. L’anno scorso non eravamo riusciti neppure a sporgerci il naso dentro, quest’anno ci fermiamo fuori ad osservare la folla e i tourbus con camion al seguito. Chiediamo alla security chi suona, e ci rispondono talie Sun City (o quello che capiamo). Facciamo spallucce: sarà il tipico gruppo americano ultrafamoso da quelle parti, anche se la crew Clear Channel, non ci convince granchè. Chiediamo nuovamente e capiamo che in verità sono i Sound City Players, ed è effettivamente Dave Grohl, Dave Navarro, Corey Taylor e chissà chi altro che sta per salire sul palco dell’arena di Stubb’s. Sentiamo chiaramente la voce di Dave Grohl salire dall’impianto e l’ululato della folla. E poi parte la musica: nulla di quello che vi aspettereste, però, cavolo, ci sono delle leggende viventi, tutte assieme, su quel palco. Deluso dal non poter entrare mi allontano con la lacrimuccia, pensando a dove andare ad ubriacarmi.
Così, dopo un lungo giro, e per seguire il consiglio di uno che conta, mi trovo nel West West Side, oltre Congress Avenue, dove cominciano i locali tamarri, ma quelli davvero tamarri, dove ci potreste trovare la crew di Jersey Shore al completo. In un baretto chiamato Townhouse, assistiamo al concerto che veramente ci esalta. Locale piccolo, totalmente imballato di gente, un uomo sale sul palco, suonando chitarra, tastiere e percussioni: è rock’n’roll allo stato puro, dopo poco è seguito da altri due uomini. Rimaniamo a vedere tutto lo spettacolo e capiamo perchè la “persona che conta” ci aveva detto che Reignwolf (nella foto) in pochi anni sarebbe diventato la più grande band del mondo. Un vero e proprio assalto sonoro, melodie rock e spirito rock’n’roll. Ogni volta che qualcuno che canta e sale sul bancone di un tavolo e appende un microfono al lampadario kitsh del locale minacciando di far cascare tutto, e ciononostante, riesce a non sbagliare una nota.
Ancora elettrizzati usciamo dal locale e puntiamo ad andare a trovare qualche vecchio amico, e giungiamo al Medusa, sempre nel West West Side… locale papponissimo con i pesci negli acquari, ma dove si stanno per esibire i NO. Li avevo apprezzati nel tour con Father John Misty lo scorso Dicembre, e un paio di loro canzoni mi erano rimaste radicate in testa. E’ stato un piacere rivederli e lo show ci ha conquistato ancora di più, in attesa dell’uscita dell’album d’esordio.
Ormai stanchi facciamo gli ultimi giri nella speranza di cogliere un paio di band che ci eravamo segnate, ma restiamo delusi, tranne che dalla scoperta, come fulmine a ciel sereno, dei Capital Cities: una band elettro- pop, anzi più pop che elettro, che però manda in visibilio il pubblico dell’Empire Automotive Service. Uno show di luci e musica che preannuncia un brillante futuro per questi. Accanto suona Baths. La sala è stracolma e lui è headliner del suo palco. Dire che mi piace, sarebbe un po’ mentire ma so che ha una marea di estimatori e il pubblico presente allo show, che ha deciso di finire la serata al Holy Mountain avrà avuto le sue buone ragioni. Non è però nelle mie corde, e soddisfatto, ancora pensando a Reignwolf, me ne torno verso l’auto e poi in albergo.
Domani sarà un altro giorno!
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autore: Michele Bonelli di Salci