Mentre la musica indipendente italiana più sugli scudi in questa fase è la nuova onda cantautorale occhialuta e post bambocciona, di vocazione intimista, dai testi politicamente corretti che parlano di spaesamento giovanile e difficoltà del quotidiano – andare a vivere da soli, crescere un figlio, evadere dal call center… – e dalle musiche educate di base elettroacustica, i Malatja scelgono di estendere invece la narrazione anche ai temi sociali del proprio territorio di provenienza, su musiche arcigne, politicamente scorrette e lontane dall’hype del momento, puntando sul senso dell’umorismo ed esprimendosi in dialetto napoletano.
Il quarto disco del power trio di Angri, attivo pensate un po’ da 20 anni, contiene 9 brani formalmente in continuità con la storia della band, che nacque dalla passione per il fenomeno musicale californiano del grunge contestualizzato però ai temi della fertilissima ma sventurata provincia rurale settentrionale salernitana, irrecuperabilmente depressa, massacrata dall’edilizia abusiva, dall’inquinamento delle discariche illegali – l’esordio del 2000 s’intitolava proprio Munnezz – dalla disoccupazione e dalla camorra.
Tutti temi snocciolati con rabbia ed umorismo nonostante tutto, anche in questo Stracciacore al quale potrebbe capitarvi di affezzionarvici beninteso che la band non brilli per ampiezza di soluzioni, e se non conoscete il dialetto napoletano dovrete aiutarvi col booklet, che riporta i testi delle canzoni anche in italiano.
‘Nun Sia maje Dio‘ tratta dell’omertà e della sua complementarietà con il crimine, e come praticamente tutti i pezzi dell’album ha l’andamento dei brani grunge dei primi Pearl Jam, particolarmente quelli di Vs. (1993) – ispirazione molto molto ricorrente nei Malatja proprio come i Jane’s Addiction – come anche ‘Funky Freak‘, non tra le cose più riuscite, con un testo che scherza sulle pose assunte dai finti alternativi ma che si regge su una ben cazzuta trama di chitarra elettrica alla Stone Gossard, mentre ‘Back to Hell‘ è un anthem abbastanza personale e ricco di elementi, con un approccio che fa pensare per l’impatto anche ai più moderni Deftones.
Il trio, formato da Paolo Sessa (voce e chitarra), Camillo Mascolo (batteria) e Daniela De Martino (basso), prova poi finalmente con ‘Sott’o Balcone‘ a mischiare le carte in tavola, sperimentandosi in atmosfere più variabili e blues, e malgrado il risultato non sia proprio irresistibile, la strada è in ogni caso quella giusta: tentare di uscire dal seminato.
Esilarante l’intro di ‘Rock’n’Roll Star‘a Casa ‘e Mammt‘, con il fulminante botta e risposta tra la rock star in cameretta che suona e la genitrice che intanto ha scolato la pasta e richiama alla realtà, mentre una nota di merito va anche a ‘O Cazon’ Janc‘, dove ritorna l’impatto ruvido, in definitiva vero punto di forza dei Malatja, che alle ispirazioni americane già citate aggiungono più o meno involontarie assonanze con altre band dal forte riferimento a temi sociali territoriali, e dal dialetto, come Bisca e ‘A67.
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autore: Fausto Turi