In una saletta piena fino ad oltre la metà, alle 23:50 in punto sono entrati in scena i Q-Indie, interessante quintetto del napoletano che ha stupito solo per il vigore e e non per capacità tecnica e compositiva (ndd). Un sound compatto e definito, che forse non brilla eccessivamente per originalità, ma che risulta senza dubbio godibile. Infatti l’esibizione è soddisfacente e tra una lead guitar libertinesiana di Vittorio Maggese ed un inarrestabile rullante-splash di Lorenzo Vignone, il pubblico si accorge che quella sul palco è una band da seguire. Molto buona anche la prova vocale di Fabrizio De Carlo (il cantante), che presenta a tratti qualche elemento che ricorda il vecchio Billy Corgan. Il tutto, unito ad un buon rapporto con il pubblico (la band sbaglia un pezzo, si scusa e, tra gli applausi e gli incoraggiamenti, ricomincia d’accapo senza scoraggiarsi), ha reso lo show offerto dai Q-Indie di buon impatto.
Giusto il tempo di un check veloce degli strumenti e, dopo una brevissima presentazione (“Ora facciamo un po’ di rock and roll!”), giunge il turno degli headliner. I The Hacienda propongono un brit-pop con duri innesti che sfociano quasi nel punk-rock, per la forza esplosiva dei riff e per il modo di porsi: senza fronzoli, non parlano troppo e lasciano che siano i loro overdrive a farlo per loro. Un’esibizione che lascia senza fiato, tra motivetti orecchiabili alla Cribs ed esplosiva potenza espressiva alla Bishops. Non tutti ballano, ma chi lo fa è davvero preso, merito anche dell’atmosfera di bonaria partecipazione anche da parte della band che, tra un brano e l’altro, non si riserva dal fare gli auguri a Pera, il tastierista, per il suo compleanno, improvvisando la classica canzoncina per l’occasione. Tutto è esageratamente brit sul palco, e non solo per quanto riguarda il lato esclusivamente musicale. Ogni elemento, dal taglio di capelli di Alessandro Gianferrara (voce e chitarra) alla maglietta striped di William Cavalzani, pulsa di sensazioni da Union Jack. Suonano a lungo, fermandosi giusto per una brevissima pausa a metà dell’esibizione, unico momento di immobilità della serata, sfruttato anche dal pubblico per prendere fiato. Il gruppo fiorentino, in sintesi, racchiude in sé tutto ciò che di buono si può trovare nel vasto scenario della nuova ondata indie d’oltremanica, unendolo a sonorità ’70 e rielaborandolo egregiamente grazie anche alla sua eccellente preparazione tecnica.
Autore: A. Alfredo Capuano
www.myspace.com/thehaciendaband