“Ach Gott! Die Kunst ist lang, und kurz ist unser Leben – O Dio! L’arte è lunga, e breve è la nostra vita”, recita nel Faust Wagner, mutuando il più celebre aforisma del greco Ippocrate di Coo prima (“‘O βίος βραχύς, ἡ δὲ τέχνη μακρή …”), del latino Seneca poi (“Ars longa vita brevis”) e, per restare vicini al mondo della musica, come titola un celebre disco dei The Nice di Keith Emerson, Lee Jackson e Brian Davison, del 1968.
James Frazer, nel corso dei suoi studi antropologici, ha segnato un solco, una direzione lungo la quale l’uomo, nella sua “eonica” ricerca della realtà, ha fatto progresso nella sequenza dei fenomeni naturali vivendo di magia prima, di religione poi e infine di scienza.
Johann Wolfgang Goethe, con il “Faust”, ne inverte, con il peso del dramma, il percorso, rendendo all’essere umano la sua fragile dignità, nel bisogno di credere e ri-cercare quanto non sia riconducibile all’esperienza, ma che al contempo la rende possibile: perché dopotutto “il piccolo Dio del mondo è sempre uguale”.
Faust
“Ho studiato filosofia,
diritto e medicina,
e, purtroppo, teologia …
Adesso eccomi qui, povero illuso,
e sono intelligente quanto prima!
….
E nulla vedo che ci è dato di sapere!
….
Per questo mi sono dato alla magia …”
Ed è così che la produzione del Teatro Metastasio di Prato/Compagnia Lombardi–Tiezzi, in collaborazione con la Fondazione Sistema Toscana/Manifatture Digitali Cinema Prato e il Teatro Laboratorio della Toscana/Associazione Teatrale Pistoiese ha portato sul palco “Scene da Faust”, nella versione italiana di Fabrizio Sinisi, per la regia e drammaturgia di Federico Tiezzi.
Appena sotto la soglia delle due ore, senza soluzione di continuità, la rappresentazione, carica di un afflato liturgico contemporaneo, ha presentato la prima parte dell’opera di Goethe, congedandosi in assolo, nell’acme tombale della condanna a morte Margherita, sospesa tra il dramma, il canto e l’esatta interpretazione di Leda Kreider.
Prima, il borghese Mefistofele di Sandro Lombardi, “parte di quella forza che vuole sempre il male e opera sempre il bene”, equidistante dalla distorsione della maschera e la giustezza del personaggio; un diavolo che al pari del Woland del Maestro e Margherita (o forse più correttamente andrebbe detto l’inverso), autorevole sia del suo originario status veterotestamentario di Malak e Satan di Dio
Mefistofele
“Cosa scommettete? Perderete anche lui,
se mi date licenza di guidarlo
cautamente a spasso a modo mio!”
Il Signore
“Finché vive sulla terra,
ciò non ti sarà vietato.
Finché cerca, l’uomo erra”
sia, in uno scambio-sovrapposizione di ruoli con Faust (per un attimo pianamente espressi anche in scena), della dicotomia propria di ognuno di noi, tanto cara a Sigmund Freud, tra volontà e controvolontà, tra conscio e inconscio.
Con lui, Faust di Marco Foschi, spogliato (in apparenza) gli abiti del dotto e vestito di quelli dell’uomo comune; ecumenico nell’azzerare le distanze tra se stesso e l’umanità, e nel rendere l’inquietitudine, le sofferenze e gli errori dell’accademico universale male, saldo in una sconfortata invettiva: “Maledetto sia l’alto intendimento con cui lo spirito s’intrappola da sé! Maledetto l’abbaglio dei fenomeni che si rovescia contro i nostri sensi! Maledetta speranza! Maledetta la fede! E maledetta soprattutto la pazienza!” e nei ritrovati piaceri dell’”Origine del mondo” nell’omaggio a Gustave Courbet.
Accanto a loro, la presenza, spintasi oltre la recitazione negli spunti fisici, atletici e canori, di Dario Battaglia, Alessandro Burzotta, Nicasio Catanese, Valentina Elia, Fonte Fantasia, Francesca Gabucci, Ivan Graziano, Luca Tanganelli (su tutti il quadro della strega, da Zira di Pierre Boulle e i tre Arcangeli da XII carta dei Tarocchi del prologo in cielo).
Ripulito il campo di una guerra chimica di sale d’attesa, libri bianchi, virginali di parole, hanno raccontato l’asettica, sterilizzata scenografia (le scene e i costumi a cura di Gregorio Zurla, le luci di Gianni Pollini, le coreografie di Thierry Thieû Niang, il canto di Francesca Della Monica), nel dealbato passaggio di luoghi, spazi e tempi, scanditi dai particolari e sublimati nei fermimmagine, tagliati e ritagliati dall’occhio di un obbiettivo fotografico (splendida l’istantanea del cane che trattiene il mantello di Faust).
L’arte (e con essa il teatro) diviene nel “Faust” atto compiuto, capace di sopravvivere, nella propria forza, agli uomini, alle loro mode, pensieri e idee …
Faust
“In principio era la parola! … No, porre così in alto la parola non posso. Devo tradurre in modo diverso, se lo spirito mi darà la giusta ispirazione. Sta scritto: In principio era il pensiero … È il pensiero che foggia e crea ogni cosa? Dovrebbe essere: In principio era la forza! Eppure mentre sto scrivendo questo, già qualcosa mi avverte che non me ne accontento. Lo spirito mi aiuta! Di colpo vedo chiaro e scrivo con fiducia: In principio era l’atto!”
Marco Sica