Dopo l’apprezzato e crepuscolare album intitolato Between Wolves and Dogs (2013), quinto lavoro solista che l’ha consacrato come crooner di spessore nel solco di Leonard Cohen e Jeff Buckley e buon chitarrista folk, Piers Faccini torna con un nuovo album di cover in società col violoncellista Vincent Segal, sua conoscenza artistica di lungo corso.
Nel percorso musicale di Faccini, Songs of Time Lost è un lavoro in qualche modo laterale, una sorta di libera uscita, di divertissement inciso per il gusto di suonare musica amata, soltanto con voce, chitarra e violoncello, e propone una scaletta in cui si alternano curiosamente brani della tradizione napoletana, blues afroamericani e folk britannico.
Possiamo immaginare che Faccini sia entrato in contatto con la canzone tradizionale napoletana tramite il padre, italiano, e che gli sia subito risuonata dentro data la sua attenzione al folklore ed alla musica popolare, prima di tutto quella del suo paese, che è la Francia; l’idea che sembra esserci dietro quest’album è che l’umore della canzone tradizionale napoletana si possa coniugare in qualche modo con il blues afroamericano, magari attraverso un comune sentimento fatalista, che permette ad un popolo di sopravvivere anche difronte al torto, all’abuso, allo sfruttamento. Questo aspetto in effetti spiazza un po’ l’ascolto: l’accostamento di ‘Quicksilver Daydreams of Maria’ di Townes Van Zandt alla straordinaria ‘Villanella di Cenerentola’ di De Simone rischia ad esempio di stemperare un umore dirottandolo sbrigativamente altrove, se non si sa stare al gioco; e già possiamo immaginare la reazione scomposta che i soliti puristi della melodia napoletana potranno avere.
Lo stile interpretativo del cantautore di padre italiano, madre inglese ma cresciuto in Francia è al solito molto delicato ed intimista. Nel caso dei 5 brani napoletani, se l’accento dialettale non è ben padroneggiato – ‘Cammina Cammina‘ di Pino Daniele è diversamente amabile, con la pronuncia di Piers Faccini – il risultato è interessante perché non allineato alle solite versioni da cartolina e non per il taglio un po’ jazz e un po’ folk blues ampiamente tentato negli ultimi 30 anni da chiunque in ogni salsa o per l’arrangiamento spoglio anch’esso ben noto dai tempi di Bruni e Murolo, ma piuttosto per l’idea di non valorizzare a tutti i costi la melodia, per l’ incedere dal tono primordiale, anche funereo di chi canta con un’atroce sofferenza nel petto fino a trasfigurare il carattere contemporaneamente elegante e popolare della canzone napoletana in folk psichedelico – ‘Jesce Sole‘, ‘Cicerenella‘ – e poi per la scelta di brani alcuni dei quali non scontati.
‘Half of Me‘ è un inedito che ricorda molto il britannico Bert Jansh, e poi c’è ‘Wenn ich mir was Wunschen Durfte‘ di Friedrich Hollaender, resa celebre da Marlene Dietrich, interpretata solo in chiave strumentale, ed una serie di cordiali indolenti brani quasi canticchiati: ‘Everyday away form You‘, ‘The Closing of our Eyes‘, mentre più valore lo troviamo nel famoso ‘Make me a Pallet on your Floor’, nei blues ‘Mangè por le Coeur‘ di Alain Peters, in ‘Cradle of the Grave‘ e soprattutto nella splendida, riuscitissima ‘Dicitencello Vuje‘.
Dico piacevole ma musicalmente un po’ statico e nudo, cui il violoncello di Vincent Segal conferisce toni molto classici; con questo lavoro Piers Faccini chiude il cerchio delle sue origini e dei suoi gusti.
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autore: Fausto Turi