Napoli rappresenta oramai una tappa fissa nel tour promozionale dei Karate, impegnati a pubblicizzare l’ultimo lavoro “Pockets”. Ottima la scelta della Galleria Toledo come location del concerto, raccolta quanto basta e con un eccellente acustica. Concerto per pochi intimi quindi, come per pochi intimi è la musica dei Karate. Sul palco salgono per primi i Rain Against The Sky, band napoletana con una discreta esperienza nell’underground napoletano. Il loro è un indie/rock con la voce femminile che dona al sound una componente pop e molto melodica. Il pubblico sembra apprezzare anche se poco coinvolto dalla musica. Le loro sono canzoni indubbiamente orecchiabili e quadrate nella struttura, il che dimostra un’ottima idea di fondo: suonare su una base heavy con una voce molto melodica ed aggressiva allo stesso tempo. Per intenderci, quello che faceva Elisa ai tempi di “Labyrinth”. Ottima prova live e con un buon riscontro da parte della platea. Arrivano i Karate con molta umiltà, senza farsi aspettare e senza gli inutili fronzoli che accompagnano sempre l’entrata in scena di un artista. Tre musicisti timidi che però non hanno problemi a dimostrare con quanta passione ed umiltà suonino. Dalla prima all’ultima canzone si crea una atmosfera sognante. Troppo girare la testa per guardarsi intorno. Gli sguardi delle persone avevano un solo obiettivo: il palco. Emozionante “Small Fires” per chi ha conosciuto i Karate con il loro album più venduto, ‘Unsolved’, dal quale è tratta. Insieme alla ballad di bellezza cristallina “The Angel Just Have To Show”. Poca interazione con gli spettatori, forse per problemi di lingua, ma poco importa. E’ la musica che conta. E quando si tratta di suonare “The Roots And The Ruin” oppure “Original Spies” il pubblico sembra conoscere i grandi successi della band. Poca differenza tra il sound su album o live. La perizia tecnica della band è eccezionale. Qualcosa viene perso solo sugli assoli che Farina non sempre è in grado di riproporre. Spettacolo di improvvisazione sulla bellissima “Ice Or Ground?” prolungata per più minuti. Ma a dimostrazione che la buona musica si riconosce e non possiamo sempre nasconderci dietro il motto latino “De Gustibus”, il finale del concerto è stato incredibile: sulle note di “This Day Next Year” (capolavoro massimo della band, ndr) il teatro è caduto in trance. Ogni singola persona tra il pubblico era immobile, senza proferir parola. Qualcuno ha anche versato lacrime per la bellezza della musica. Dopo un concerto come questo si può dire che non ci vuole molto per emozionare la gente con le note. Basta solo passione e buone canzoni.
Autore: Andrea Belfiore – foto: Daniele Lama