Lo si mastica, rimastica, lo si sputa per poi riaddentarlo, e di nuovo masticarlo e rimasticarlo. Ma quando si digerisce una buona volta? Sto parlando del country, che nell’indie americano sta assurgendo al ruolo che ha il baseball negli sport di questo stesso Paese: “the national pastime”. Musicalmente, s’intende.
Vorrei non esprimere insofferenza ma non è facile. E in fondo i musicisti non ci possono neanche fare granchè: niente qui viene fatto oggetto, né tanto meno obbligo, di brevetto. Ognuno compone quello che gli passa la propria ispirazione e sensibilità artistica, e pace. Esistono più versanti su cui il country tende a degradare – folk/bluegrass, blues, rock, alternative, e nuove esplorazioni alla Califone –, quando non resta fermo su stesso. Riuscire a lasciare un segno distintivo non è semplice, visto che bisogna fare i conti con un “pesante” passato, oltre che con un pur affollato presente.
Rocky Votolato non è un volto dell’ultimissima ora, anche se “Suicide Medicine” è appena il suo secondo lavoro, considerato che l’esordio “Burning My Travels Clean” era riuscito a sollevare un po’ di chiacchiera sul musicista di Seattle. E se passiamo in rassegna le classificazioni di cui sopra, Rocky riesce a segnalarsi come “nuovo” countryman, pur senza lasciare la tradizione in disparte. C’è un’evidente vena emo a tenere banco, soprattutto al microfono: Rocky gioca sulle corde (vocali – lasciate perdere ogni ambiguità con lo Stallone pugile), sì da conferire all’inequivocabile cadenza country di “Suicide Medicine” una caratterizzazione decisamente “enfatica” che, se vogliamo giocare a un ideale “piccolo chiaroveggente”, può sbarcare – ovviamente oltreoceano – in charts e passaggi radiofonici come già accaduto a un Dashboard Confessional (la chitarra acustica c’è, qualche arrangiamento di archi e una batteria ogni tanto pure – è il termine di confronto più calzante, per quanto alla Sorepoint tentino di rifuggirne). Canzoni da “malinconia speranzosa”, magari a casa, sotto un plaid, con la pioggia che batte fuori. Bene: oggi c’è il sole, non sono in casa – né tanto meno ho un plaid – e le speranze non sono condite di malinconia. Aspetterò il momento buono per capire se fa effetto…
Autore: Bob Villani