“Io non ci sto”.
“Non ci sto a dovermi piegare a stupidi pre-giudizi para-scientifici”.
“Non ci sto a farmi analizzare come se fossi un fenomeno paranormale”.
“Ma chi si credono di essere questi?”
“Che sono Dio, che possono giudicare chi è buono e chi non lo è per entrare nell’altro mondo?”
“E chi ci vuole andare a quest’altro mondo?”
Fortunata, l’eroina dell’ultimo capolavoro del regista romano Emanuele Crialese, non ci sta.
Non ci vuole avere niente a che fare con quest’altro mondo, legata com’è alle sue radici intrise di arcana sapienza.
È troppo presto per lei per andare all’Altro Mondo.
L’America o meglio gli “United States of America”, quelli degli ottusi “test d’intelligenza”, della profilassi ossessiva e delle “case in cielo” con nella pancia le “cascette a mmuro” (ovvero i grattacieli provvisti di ascensori), agli occhi di quelli che lasciano casa, parenti e ricordi per cercare nuova fortuna, smette di essere il Nuovo Mondo (quello della democratizzazione dei diritti e delle opportunità) per diventare un Altro Mondo (simulacro, copia spiaccicata di quello abbandonato, delle sue ingiustizie, dei suoi non-sense, dei suoi pregiudizi).
E nonostante prima di partire Salvatore Mancuso e la sua famiglia saranno costretti, esattamente come gli altri, ad abbandonare i propri abiti- identità di poveracci per vestire la propria dignità con abiti “nuovi” (quelli dei loro morti che “così anche loro si fanno un giro nell’Altro Mondo”), nonostante saranno folgorati dall’arrivo improvviso di una “Luce Caronte” del “Nuovo Mondo”, verranno spogliati delle proprie speranze e abbandonati persino dalla Fortuna, che se ne torna al paese suo, quello vecchio. Nel mondo Nuovo, la Fortuna è solo una debole di mente.
E se non c’è spazio per lei, che senso ha l’amore?
Lo stesso delle chat nell’era di Internet. Solo che nel Nuovo Mondo se dici di no, sei costretta ad affrontare di nuovo il “grande Luciano” e gli sguardi attoniti dei compaesani, perché da che mondo è mondo, nessuno è mai tornato dall’altro mondo.
Non ci sono parole per definire l’ultima opera di Crialese, che “meritatissimamente” rappresenta l’Italia agli Oscar.
Chissà se gli americani, quelli degli alberi da cui piovono monete, quelli dove tutto è enorme, esagerato, incredibile, indaffarati a trastullarsi in fiumi di latte, apprezzeranno.
Chissà se faranno outing e se un giorno, lo faremo anche noi.
Autore: Michela Aprea