Ecco dunque il secondo album solista, dopo l’esordio con “Lullabay”, della cantante degli inglesi Zero 7: Sophie Barker. Otto canzoni in 35 minuti, tutte centrate sulla voce malinconica, sofisticata e modernamente folk di questa autunnale cantautrice che ci immaginiamo sul buio palco di un fumoso club inglese mentre evoca, chitarra alla mano, gli spettri di Shinead O’Connor, Dolores O’Riordan, piuttosto che Elisa, Goldfrapp, Sandy Danny.
Eartbound presenta una regolare alternanza di spoglie tracce acustiche per voce/chitarra soltanto – nelle quali emergono sia la vena folk britannica di Sophie in tutta la sua magnificenza sia il languido senso d’abbandono ai sentimenti femminili più delicati che caratterizzano la sua voce – e di più complesse composizioni scritte, prodotte ed eseguite con l’ausilio del polistrumentista Robin Guthrie dei gloriosi Cocteau Twins – e qui invece notiamo qualche debolezza di idee che si cerca di nascondere dietro la verniciatura di arrangiamenti perfetti per chitarre e tastiere evanescenti, nello stile proprio dei vecchi dischi dei Cocteau Twins targati 4AD –.
Basterebbero dunque la voce ed il tocco di Sophie sulla sei corde – liberi e spuri di artifizi – per riuscire a coinvolgere e scaldare il cuore: così nelle canzoni più nude in cui fa tutto da sola – ‘Dreamlife’, ‘On my Way Home’, ‘Stumble’ e finanche nella folktronica semplice semplice di ‘Angel’ – troviamo l’autentica ossatura di questo Earthbound che tuttavia nel complesso non convince del tutto, e non valgono da soli i singoli episodi – nessuno malfatto, lo stesso Robin Guthrie dà un bel contributo in ‘Stop me’, ad esempio – a farcelo amare fino in fondo; attendiamo una prova futura magari tutta per voce e chitarra acustica dal vivo: lì siamo convinti che Sophie farebbe centro.
Autore: Fausto Turi