Se i Replacements, che aspetti di vedere dal vivo da tanti anni, salgono sul palco a pochi metri da te e iniziano il concerto con una tripletta del tipo “Takin a ride”, “I’m in trouble” e “Favorite thing” non puoi che pensare di aver appena iniziato a vivere una serata memorabile.
Le premesse per un concerto meraviglioso ci sono tutte, ma la sensazione di trovarsi (ancora una volta) alle prese con una delle tante “grandi truffe del rock’n’roll” (giusto per citare una band che, secondo la leggenda, si formò proprio qui alla Roundhouse dopo aver assistito al primo concerto inglese dei Ramones) è più che una fastidiosa sensazione.
Sul palco c’è una band che secondo alcune indiscrezioni (poi confermate giusto un paio di giorni dopo) si è praticamente già ri-sciolta, e la cui reunion non ha portato a niente di nuovo (pare che i tentativi di registrare nuovo materiale siano naufragati miseramente). Una band che, per quanto sia triste ammetterlo, è lì quasi esclusivamente per onorare un impegno professionale, senza grosse motivazioni.
Davanti ad essa ci sono invece tantissimi fans tutte le età, eccitatissimi, pronti a cantare a squarciagola canzoni che gli hanno segnato la vita, a farsi venire la pelle d’oca sul ritornello di “Achin’ to be” o sulle prime note di “Can’t hardly wait”, a saltare senza sosta per tutta la durata di “I will dare” o impazzire completamente su “Bastards of young”.
La discrepanza è palpabile, per quanto non lo si voglia ammettere innanzitutto a sé stessi.
Non è un brutto concerto, figuriamoci: con un repertorio del genere bisognerebbe impegnarsi davvero intensamente, per far uscir fuori un brutto concerto.
Ma è in quegli attacchi sbagliati, in quelle parole dimenticate, in quell’eccessivo cazzeggio (anche nella scelta delle cover, tipo una ”My Boy Lollipop” di Barbie Gaye che…boh!) che riaffiora di tanto in tanto quella sensazione di amaro in bocca.
Amaro come il sorriso di Paul Westerberg che, quasi a fine set, canta: “Look me in the eye / And tell me that I’m satisfied / Look me in the eye / Unsatisfied”. E’ un sorriso che mi rimane impresso. E’ uno sguardo che sembra dire “questa l’ho scritta trent’anni fa eppure questi versi descrivono esattamente quello che provo ora”. Goodbye, Replacements. Va bene così.
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autore: Daniele Lama
foto di Roberto Calabrò