Sono piccoli intimi momenti di piacere quelli dispensati da Chris Clark che in questi giorni di caldo torrido ci rinfresca con le sue rugiade indietroniche, quelle che agli inizi del millennio risolsero qualche dubbio a più di un indie-rocker su come apprezzare (ed accettare) l’elettronica.
Allora erano termini come post-rock, folktronica e gitch ad indicare le linee guida della musica indipendente nel millennio che nasceva.
Nomi come Notwist e Lali Puna, Boards Of Canada e Sea and Cake ma anche Four Tet , Mice Parade, Tristeza e Tortoise diedero una nuova possibilità di interazione tra digitale ed analogico disegnando scenari esotici e futuribili, spesso velati da quella malinconia così necessaria agli animi perennemente confusi.
Iradelphic nella sua ricercata mancanza di omogeneità forse fa anche qualcosa in più. La chitarra acustica che si affaccia sin dall’inizio in Henderson Wrench ricorda un po’ quei chitarristi fusion/new age senza la pesantezza dei loro virtuosismi e subito dopo Com Touch riporta le cose in un giocoso ordine kraftwerkiano.
Il calore dell’ analogico regna comunque ovunque a dimostrazione di una ricerca scrupolosa del suono, persino nelle tempeste elettrostatiche cui il nostro si lascia andare verso la fine del brano, come nei più classici acquazzoni estivi.
Tooth Moves riassume le anime delle prime due tracce fino alla prima metà, poi si entra nella fase finale, scelta coraggiosa, che piacerebbe moltissimo ai fans del chitarrista fusion Allan Holdsworth.
Skyward Bruise/Descent è austera e rigorosa nei suoi corridoi elettronici da percorrere con lentezza, ma Open e Secret addolciscono il cammino quando si affaccia la voce di Martina Topley Bird e l’atmosfera si riempie di quella particolare ‘saudade’ cui alludevo in precedenza (se qualcuno ricorda i Pram capirebbe perfettamente di quale tipo di magie è capace certo pop obliquo).
Ancora sospensioni e giochi di luce indecisi tra albe e tramonti in Ghosted, titolo alquanto esplicativo per momenti di rarefazione pura e accenni di minimalismo classicista con il piano di Black Stone: Clark non vuole farsi mancare proprio nulla nel suo bagaglio pieno di ricordi che si porta dietro.
The Pining Pt1 comincia come un brano dei Dead Can Dance ma dopo qualche secondo sembra Pat Metheny; ecco che ritorna quella vena fusion robotica e un po’ kraut che abbiamo conosciuto con i Tortoise: cartoline da luoghi sconosciuti ma impressi in una memoria mitica. The Pining Pt2 viene giocata su una figurazione ritmica più dinamica ma la sostanza non cambia, è sempre una sorta di esotismo retrò l’obiettivo finale ed In The Pining Pt3 si potrebbero tirare in ballo perfino le trasparenze dell’Aphex Twin più ‘ambientale’.
La conclusiva Broken Kite Footage si muove lenta ed epica tra fumi e nebbie di altezze irraggiungibili, come in un sogno sfuocato, come tappa finale del viaggio di Clark, cosmopolita musicale che si muove su percorsi già segnati da altri.
Forse è interessante la sua mappa per la sequenza delle tappe, ma chi lo critica di non apportare nessun reale elemento di novità, di restare su uno sfondo indefinito e di sfiorare l’ambito della tappezzeria sonora non ha del tutto torto.
Autore: A.Giulio Magliulo