C’era anche Nina al Primavera Sound di fine Maggio scorso, in quel di Barça, anche se solo nel tardo pomeriggio (ma pur sempre nello splendidio scenario del Poble Espanyol). Per quanto abbia assistito al suo concerto, non ho alcun problema nel dimenticarmi “bellamente” della sua fisionomia quando la reincontro prima, durante e dopo quello stesso volo che ci ha riportati a Napoli (a Napoli! Nina Nastasia! e voialtri dove eravate?! scusate, faccio del fanta-fanatismo…), ben più incuriosito da un’altra, di fisionomia, quella del suo accompagnatore (status: ignoto), versione giovane e folk-apocalittica di Moni Ovadia (ma con barba ben più lunga e incolta). Il quale, chitarra incustodita (nel senso: in custodia…) alla mano, mi fa notare che il musicista è lei, che si presenta, sicura di ricevere chissà quale ennesima espressione di ignoranza.
Tutto questo per dire che fa piacere, in un campo almeno del nostro vivere, essere degli esperti, saperne di più dell’individuo, e anche dell’appassionato di musica “standard”, e anche per rendersi conto di quanto la dimesnione indie restituisca un volto pienamente umano anche all’artista, che maledetto e rockstar non sempre è (almeno fin quando non vi trovate alcune sue richieste di catering tra le mani…).
Parliamo di “Dogs”, adesso, vi va ancora? Disco che capita “tra capo e collo” quando sembrava troppo presto per aspettarsi già un nuovo episodio discografico dalla poco solare (ma in fondo cordiale, amichevole – sembrano depressi, alcuni/e di loro, ma poi ci parli e scopri che non mordono affatto…) Nina, dopo l’acclamato (benchè tremendamente “ossuto”) “Run to Ruin”. E difatti “Dogs” è un bel passo indietro, quasi 5 anni, nella vita-carriera di Nina, quando davvero, incontrandola in un aeroporto, avremmo allargato le braccia per difendere, più che giustamente, una nostra carenza informativa. Uscì su Socialist Records, in risibile tiratura, quello che era un documento di come, poco alla volta, Nina scalava la ribalta micro-live di New York City. Touch and Go, oggi, ne dà adeguata e meritata ristampa. Su Socialist, come avrete intuito, il disco non lo trovate più. Forse neanche la Socialist trovate più in giro, ma potete sempre informarvi (e mi fate anche un fischio).
Gli anni trascorsi si sentono. “Dogs” mostrava già un’ottima predisposizione all’introspezione, alla lirica confidenza di viola, fisarmonica e chitarra acustica, alla cristallina, forte ma discreta prestazione vocale, a un sound meno scarno e più “folky” – e a tratti anche elettrico – di quello degli odierni episodi. E’ un disco che funziona, che sorpassa ogni riferimento temporale, che ha fatto innamorare anche John Peel in quel della BBC (ma di cosa Peel non si è appassionato da 200 anni a questa parte?). E se dobbiamo proprio fare dei parallelismi, è curioso come, retroattivamente, sembri di ascoltare ciò su cui oggi una Mirah (sponda opposta degli States, peraltro) stia costrunndo un proprio marchio stilistico. Ma tant’è, “corsi e ricorsi storici” non è cosa che inventiamo noi ma di cui si parla già da secoli…
Autore: Bob Villani