L’unico progresso che sta facendo il mondo in tempi duri come questi è farci confondere con i nuovi assi che spostano il centro da una parte all’altra. Non vale solo per i turisti che nel vecchio continente, ora, preferiscono Berlino a Londra. Gli spostamenti si intuiscono anche in campo musicale. Un esempio? Pensate agli Stati Uniti e srotolate pure la lista dei gruppi che hanno alloggiato – anni fa – sui poster delle vostre camere, fino alle colonne sonore dei viaggi, fino ancora ai vertici delle classifiche della storia della musica. Bene, ora zoomate sulla nostra Era, ringraziate Oklahoma City e Chicago perché vi hanno regalato gruppi come The Flaming Lips e i Wilco, e noterete che più a nord di quei cinquanta Stati si stanno aggregando band che affollano la vostra collezione di dischi. I nomi sono quelli che potete trovare racchiusi tra le collaborazioni del collettivo vincente degli ultimi anni, i Broken Social Scene. Quegli stessi nomi che l’incerta definizione indie stringe nel nonsense della sua stessa parola, tanto in voga. E in quel calderone di chitarre, voci e registrazioni c’è una realtà canadese che sta facendo sentire la sua voce (o i suoi dischi) e che ci piace. Sì che ci piace, e non solo per moda.
The Acorn sono un quintetto di Ottawa attivi dal 2003 e guidati dalla voce di Rolf Klausener. Due anni fa avrete sentito parlare di loro per l’apprezzatissimo secondo album “Glory Hope Mountain”, ora è la volta di “No Ghost”, undici brani che oscillano tra folk e pop, rivisitando entrambi i generi con uno stile elegante e delicato. Simile alle mezze misure, ma senza alcuna traccia di banalità.
Un gruppo che ha senza dubbio tratto insegnamento dalla musica di Jeff Tweedy e capace di alternare ballate Sixtie’s a brani dal piglio decisamente pop. Più d’uno gli episodi del disco che portano i canadesi alla promozione, come la lirica quasi religiosa di “On The Line” che fa il paio perfetto con la bellissima “Almanac”; come il violino della ballata di “Slippery When Wet” che contrasta l’iniziale movimentata “Cobbled from Dust”. La title-track strizza l’occhio al post-punk, ma sembra farlo per gioco.
Su tutto, però, è quell’alito di folk che soffia leggero a trasportare nel loro lavoro e nulla più. Perché – che siate musicisti o ascoltatori – non è semplice stare in un disco e basta. Ma quella degli Acorn, nonostante i paragoni obbligatori, è una scommessa superata, ve ne accorgerete con “Misplaced” o con quella strana creatura di “Kindling to Cremation”, qualcosa che vi ricorderà il gospel ad una sola voce, e tutta bianca.
Insomma, non sarà il disco dell’anno questo “No Ghost”, ma è tra le novità da tenere sott’occhio. E, ovviamente, lunga vita al Canadà!
Autore: Micaela De Bernardo